Salve. Mi chiamo Catia e da tre giorni non faccio uso di caffè. 72 ore in cui non ho fatto altro che pensarci. Dicono si chiami “CRAVING” , intensi e ripetuti pensieri che t’inducono a desiderare una sostanza e assumerla. Lei, la madre dei piaceri, la caffeina.
E lei la madre dell’alitosi, dell’insonnia, persino della sindrome da stanchezza cronica: la G-A-S-T-R-I-T-E. E’ scritto nero su bianco in un referto medico come una condanna e, nel foglio successivo, tra la lista dei cibi da eliminare, il caffè è al primo posto. Rivivo tutto come se fosse accaduto ora.
“Vedrà che cominciando a eliminare il caffè si sentirà subito meglio” dice la dottoressa nel suo camice bianco spiegandomi con dovizia di particolari che la caffeina stimola la secrezione di succhi gastrici e accentua l’insulto alla mucosa gastrica che invece deve ripararsi.
Mai considerato il caffè un insulto.
Sono nata in Italia, l’eccellenza della torrefazione, il luogo dove nel 1645 è stata inventata la prima caffettiera, il luogo dove se vuoi incontrare un amico gli telefoni e gli dici “ci vediamo per un caffè?”
La dottoressa dietro la scrivania continua impietosa. “Quanti caffè beve in un giorno?”
Io esito. “Tre interi e qualche assaggio” farfuglio vergognandomi. In alcuni, difficili giorni arrivo a cinque, ma per pudore ometto il dettaglio.
“Lo sa qual è l’errore?” mi apostrofa lei sporgendosi in avanti sulla scrivania e riducendo gli occhi a una fessura “È che nel caso di un alcolista si misura l’ETG” e vedendo il punto interrogativo sul mio volto precisa “l’etilglucoronide, se i suoi valori fossero tra 30 e 50 io la considererei una consumatrice abituale di alcool, se invece superasse i 50 le direi che ha una dipendenza da alcool. Invece con la caffeina come la mettiamo? Lo sa che la caffeina è uno stimolante del sistema nervoso? A che età ha cominciato a consumarne?”
Io mi piego sotto il peso della risposta. Mia mamma. È stata lei. La rivedo mentre con grande premura mi fa leccare il cucchiaino del caffè, avrò avuto neanche sei anni. Mamma! Come hai potuto? Mi hai somministrato una sostanza che mi alterava la quantità di dopamina e di adrenalina nel sangue mascherandola in cappuccino con buon latte zuccherato. Come hai potuto? Ma mentre me lo domando mi avvolge un improvviso senso di calore, e dolcezza, e sicurezza, e d’improvviso sento odore di caffè nell’aria. Vorrei spiegare alla dottoressa il valore affettivo di questa memoria olfattiva, ma lei mi porge il foglio con la nuova dieta “la gastrite è un’infiammazione della parete e della mucosa gastrica. Ci vuole ordine, rigore e disciplina per riparare il danno che ha provocato in anni di alimentazione trascurata. “
“Comincio la battaglia” dico con tono eroico. La dottoressa tenta un sorriso che le rimane aggrappato storto sul viso “Ci rivediamo tra tre mesi e le prometto un caffè.” Speranzosa chiedo conferma. “Dice davvero?” “Il bar è dietro l’angolo” risponde incoraggiante.
Esco dall’ospedale ripetendomi le parole rigore, ordine, disciplina.
Mi vedo sola davanti al computer, senza più la rassicurante tazzina di caffè accanto, quella che in automatico, con gli occhi fissi sullo schermo, la mia mano sinistra cerca, per portarsela alla bocca in un gesto rassicurante.
Rigore, ordine, disciplina.
Accendo di nuovo il cellulare, in un tripudio di bip arrivano tutti insieme i messaggi. Apro per primo quello di mia sorella che non vedo da qualche giorno: accanto all’emoticon con la tazzina fumante mi chiede “A quando il prossimo caffè?”