Lo confesso, il titolo era pronto “Il record che non è un record”.
Le argomentazioni non mancavano, essendo incentrate sulla non omologazione ufficiale del record e sulle condizioni privilegiate in cui si sarebbe svolto il tentativo, non comparabili con quelle di una vera gara la cui bellezza è la competizione tra atleti.
Ma poi ho acceso la tv, vedo il viso di Eliud Kipchoge e mi ritorna in mente una sua dichiarazione.
“Non si tratta della IAAF, si tratta della storia. Voglio davvero lasciare una grande eredità”.
E poi lo osservi danzare leggero dietro i pacemaker.
Lo sguardo concentrato di chi ha capito che l’eccellenza in maratona non la si raggiunge solo con la forma fisica ma occorre anche un’attitudine mentale spropositata e dettata al sacrificio e alla disciplina, rimuovendo schemi mentali che di fatto ostacolano la visione “oltre il limite” che occorre padroneggiare se si vuole raggiungere questi risultati.
Vedo un uomo che non ha più nulla da dimostrare o chiedere su questa distanza, vincendo 11 maratone su dodici partecipazioni con una media generale di 2:04:11, campione olimpico, attuale detentore del record.
Vedo un talento naturale supportato da una disciplina interiore affinata sui libri, una visione “monastica” nella vita di tutti i giorni, dentro e fuori i campi di allenamento, un’umiltà sorretta da una personalità forte che con naturalezza assume i connotati da leader in mezzo ai suoi compagni di corsa.
Un atleta aperto alle sfide mentali, sorretto da una forte autodisciplina stimolata da una visione positiva delle cose, capace di rimanere concentrato sugli obbiettivi, anche di lungo termine.
Schiavo della sua passione verso la corsa, non rinuncia a mettersi a disagio per affrontare cambiamenti, consapevole che senza questi non esiste il miglioramento.
Ma sopratutto vedo un uomo che crede profondamente in se stesso, onesto, pulito, e credetemi che in questi tempi rabbuiati dalle ombre lunghe del doping basta e avanza per riconciliarti con il lato bello del running.
Al diavolo le omologazioni!
Forza Eliud!
Daniele Silvioli