In un tempo lontano, quando ero piccolo, adolescente, giovane, l’estate portava con se quel friccicorio di impazienza che in genere avevo prima del basket, del tennis, della lezione di batteria alla scuola di musica.
Sicuramente prima di incontrare la compagna di scuola che decideva, piacendoti, di farsiti piacere ma solo per quel pomeriggio in villa a ripassare il greco.
Era l’impazienza di veder svelata un’incertezza che mi infastidiva probabilmente.
Quella di non essere un buon playmaker, di non avere una seconda palla degna, di non tenere quel ritmo quanto occorreva.
Di non essere simpatico, brillante, belloccio il giusto. Oltre la pronuncia greca che non mi impensieriva. A tratti, come esasperando il gain su un mixer, quell’incertezza si trasformava e diventava un desiderio incontenibile di dimostrare a me stesso di possedere quegli skills di sopra.
Uno dopo l’altro.
Ciuffo alla Nick Kamen compreso o sorriso alla Tom Cruise (cinese) per chi preferisce il genere “aviatore”.
L’estate mi regalava quell’impazienza e la confezionava in un abito fatto di telefonate agli amici del mare, di giri irrequieti in negozi di sport a comprare cose che avrei dimenticato a casa, di idee malsane costruite al pub circa quei 7 giorni di continue peregrinazioni estreme a beccarsi zecche e a mangiare male in qualche posto con l’acqua limpida e il sole a picco.
Che poi, in sintesi, ho sempre detestato il sole.
Anche non a picco.
Quel fragore di emozioni e di impazienze si affievolì con l’età. Con le certezze.
Con una diversa gestione del tempo.
Con la possibilità di scegliere pressoché infinita che rese vivibili e caotiche anche le città che prima, deserte in estate, quasi vedevano il riappropriarsi degli spazi da parte della natura insolente.
Soprattutto però tutto cambiò con il sopraggiungere di pensieri nuovi che proprio non ne volevano sapere di quell’incertezza friccicarella lì.
Ora, possiamo dirlo, è di nuovo estate, e come d’incanto, sembra che il disco sia tornato indietro come negli apparecchi anni ‘70.
Riflettevo oggi che sento di nuovo sulla pelle quel brivido del “partiremo, o non partiremo”, dello scommettere su un posto che abbiamo scelto fra i pochi disponibili, del riusciremo a riposare e a staccare i pensieri che ci regalano zavorre inutili per le nostre occulte felicità?
Quell’ansia bella delle vacanze ha girato l’angolo e ci viene incontro.
Questi tre anni ci hanno devastato e fatto risorgere se vogliamo.
Ci hanno tramortiti ma anche resi più organizzati.
Ci hanno impoveriti ma ci hanno fatto anche ritrovare un senso dello stare al mondo che è tornato a convincerci.
Facendo risorgere alcune emozioni che avevamo perso. Che avevamo sotterrato con le certezze della routine.
Questi tre anni ci hanno punito.
Ma le nostri menti nascondono sempre un grimaldello per farci evadere.
Possiamo chiamarlo istinto, leggerezza, adattamento.
E qualsiasi parola si usi, oggi mi far stare in pace.
Fino alla prossima avventura, al giro del disco, alla riduzione del “gain”.