La storia di Richard Scolyer, lo scienziato che sfida il cancro… di corsa

Certe storie sembrano scritte per emozionare, per farci riflettere, per ricordarci che la vita, per quanto fragile, può essere anche incredibilmente potente. La storia del professor Richard Scolyer è una di queste. Non è solo una battaglia medica. È un atto d’amore. Per la vita, per la famiglia, per la scienza. E sì, anche per la corsa.

Richard è uno di quei medici che hanno cambiato il destino di migliaia di persone: i suoi studi sull’immunoterapia per il melanoma metastatico hanno rivoluzionato la cura di un tumore che, fino a qualche anno fa, era una sentenza. Ma nel maggio 2023, il destino ha bussato alla sua porta con crudeltà: un glioblastoma, uno dei tumori al cervello più letali e incurabili. I medici gli davano sei mesi. Forse meno.

Eppure, proprio quando tutto sembrava perduto, Richard ha fatto qualcosa che pochi avrebbero osato anche solo immaginare: ha deciso di usare le stesse cure che aveva sviluppato per il cancro della pelle… su se stesso. Un salto nel buio. Un “moonshot”, come lo chiama lui. Con la speranza, piccolissima, di farcela.

Curiosamente, Richard è un runner. Non un maratoneta da record, ma uno di quelli veri, che corrono perché amano farlo, perché lì trovano silenzio, sfogo, presenza. È appassionato di parkrun, eventi gratuiti di 5 km che si corrono nei parchi, ogni sabato mattina. E continua a farli, passo dopo passo, anche adesso. Anche con un tumore che lo perseguita. Anche con una vertebra fratturata dopo una caduta in bici.

Come se ogni corsa fosse un messaggio al mondo: “Finché posso, io ci sono.”

La cosa che colpisce di più nella storia di Richard non è la scienza, pur grandiosa. È l’umanità. È il suo modo di non arrendersi, ma nemmeno di ostentare eroismi. Non cerca applausi, non si vede come un “guerriero”, anche se lo è a modo suo. Dice che semplicemente, quella era la strada più giusta da percorrere. La più logica. La più “sua”.

Ha deciso di provare un trattamento mai sperimentato prima per quel tipo di cancro, basandosi su anni di studi e collaborazioni. Oggi, quel trattamento – che inizialmente sembrava fantascienza – ha dimostrato dati incoraggianti ed è stato pubblicato su Nature Medicine. E Richard? È ancora vivo. Nonostante tutto. Nonostante la ricomparsa del tumore. E continua la sua ricerca. Perché, dice, “anche se io non ci sarò, magari servirà ad altri.”

Nel suo racconto, lo sport è un filo rosso. Non solo come disciplina, ma come linguaggio silenzioso tra padre e figli, come cameratismo tra triatleti, come sfogo fisico quando il corpo sembra tradirti. Richard corre per restare ancorato alla realtà, per continuare a sentirsi sé stesso. Perché – diciamolo – il cancro può toglierti tanto, ma non la voglia di essere vivo. E quella, lui, la tiene stretta anche mentre corre con il collo rotto per non deludere suo figlio.

Cosa ci lascia questa storia?

Una valanga di emozioni, certo. Ma anche una domanda semplice: noi, cosa faremmo? Di fronte a un limite, a una diagnosi, a una sfida inattesa, avremmo il coraggio di provarci lo stesso? Di “correre” verso qualcosa, anche se non sappiamo se ce la faremo?

Richard Scolyer non è solo un medico brillante o un paziente fuori dal comune. È un esempio vivente di quella forza che lo sport, la scienza e l’amore per la vita possono generare quando si uniscono. E se oggi riesce ancora a sorridere con la sua famiglia, a correre qualche chilometro, a fare il suo lavoro con passione… allora forse possiamo farlo anche noi.

Anche quando la strada sembra in salita.

Marco Raffaelli
Appassionato dello sport e di tutte le storie ad esso legate. Maratoneta ormai in pensione continua a correre nuotare pedalare parlare e scrivere spesso il tutto in ordine sparso