Capisco che digerisco male quando il secondo cervello mi invia delle strane vibes.
Tutto ruota – è, come vedrete, il caso di dire – attorno al nastro di Moebius. Si tratta di una figura chiusa piuttosto particolare.
Se si parte dall’interno, percorrendola tutta ci si trova all’esterno smentendo fattualmente un luogo comune che vede – tranne eccezioni – una netta separazione tra l’interno e l’esterno, tra il fuori ed il dentro.
Senza una “rottura della continuità” per passare dal sotto al sopra occorre valicare un bordo o fare un buco.
Pensavo allora che, se questa figura la rappresentassimo come una strada, noi podisti potremmo vivere una esperienza peculiare. A velocità sostenuta non faremmo materialmente in tempo a vivere coscientemente il passaggio tra l’interno e l’esterno. Una accelerata e, oplà, siamo di là.
A velocità più bassa, ossia ‘ragionando’ per singoli tratti, restiamo prima “dentro” e, poi, transitiamo in un “fuori”, riuscendo ad avere piena contezza di entrambe le situazioni.
Ecco che, correndo, possiamo sperimentare il nostro ideale nastro di Moebius. Potremmo avere due identità: una prima e dopo la corsa ed una mentre corriamo. Oppure, meglio, possiamo, con progressività, transitare da una introspezione ed una estrospezione. Prima ci “vediamo” dentro e dopo ci “vediamo” fuori. Siamo sempre noi stessi, ma da due angolazioni contrapposte. Restiamo gli stessi? Probabilmente si, ma non è questo ciò che rileva.
Quello che veramente conta, a mio modesto avviso, è il possibile ribaltamento dei piani. Non passiamo, senza rendercene conto, dall’interno all’esterno ma possiamo comprendere con pienezza il momento in cui interno ed esterno si ribaltano l’uno nell’altro.
Una corsa in piena consapevolezza, nella quale possiamo capire cosa succede. La strada, da noi e verso di noi, non è affatto rettilinea. Ora lo sapete anche voi.
[Nota: il nastro di Moebius, in virtù della sua rappresentazione grafica, è talvolta associato al simbolo dell’infinito. Anche se non c’è relazione tra i due concetti a me piace pensare che ciò conferma che (correndo) ci muoviamo in un universo senza inizio e senza fine ma in costante espansione]