Sapete tutti che alla mezza maratona di Yizhuang (Cina), ha esordito il pacer nelle vesti di un simpatico manufatto robotico. “Simpatico” a detta dei costruttori. E ad aprile è in previsione una maratona “mista” tra umani e robot (sempre in Cina).
A me questa vicenda ha ricordato, molto da vicino, le Darpa Series, ossia le corse annuali di veicoli a guida autonoma. Queste corse – in previsione di utilizzi militari – si svolgono su terreni estremamente accidentati e non certo su un percorso asfaltato tendenzialmente pianeggiante.
Il nostro robo-pacer ha però gettato un comprensibile scompiglio nelle fila di quanti – attualmente – prestano questo gradito servizio nell’ambito delle maratone. Lo spettro che si aggira è la sostituzione di umani (con i pregi e difetti) con un equivalente servizio robotizzato.
Siamo riusciti a dare una sbirciata ai post subito comparsi nella chat della Maratona di Roma ed eccovi gli esiti.
– L’idea non è male, a patto che anche i partecipanti siano dei robo-podisti.
– Certo, i robot sembrano una soluzione efficiente, ma quanto costano? Noi umani siamo ridotti alla (loro) versione low cost.
– Vorrei vederli inerpicarsi sulle salite della ColleMar-aton o correre sui sampietrini e tra le buche di Roma.
– Se non avranno anche loro mal di pancia, perderanno olio dagli ingranaggi.
– Mi sa che oltre una certa velocità non potranno andare. Immaginate, se schiacciano qualcuno?
– Alla prima curva stretta, una spinta è d’obbligo 😉
– Dubito che le robo-pacer siano belle come Lisa M.
Dopo gli scherzi è il caso di tornare alla serietà. Il pacer robot – data la fastidiosa moda imperante sull’IA – solleva degli interrogativi ai quali, per via del battage assillante, non prestiamo la debita attenzione. A forza di sentire ogni sorta di magnificazioni, la soglia del giudizio viene, per così dire, anestetizzata, per cui è più facile lasciarsi scivolare nell’oblio dell’ignavia, piuttosto che replicare scientemente.
Un robot (o come accidente vogliate chiamarlo) non potrà mai essere un vero “pacer”.
Alcune attività sono il patrimonio dei soli esseri umani. Si confonde, infatti, la somiglianza dei fenomeni con la loro intrinseca diversità sostanziale. Un essere “artificiale” può ben guidarci, lungo la strada, ad una velocità controllata e, a seconda del contesto, pronunciare le frasi “giuste” per incoraggiare i partecipanti ad una gara. Questo, però, è un mero accadimento “tecnico” frutto di una programmazione (anche fondata sull’auto apprendimento) che, nonostante possa essere molto sofisticata, è pur sempre una “simulazione” pensata per ingannare l’essere umano. Si sfrutta un bagaglio di “empatia sociale” per generare l’effetto atteso: diamo valore ad una “mano tesa”, anche se artificiale, in virtù del patrimonio di significatività semantica del gesto, “cancellando” il fatto che l’artificio “sa” cosa fa ma non ne comprende affatto il “senso”. E, per noi, il senso è tutto, sebbene possiamo rispondere agli stimoli come insegnava Ivan Pavlov.
Le persone (nel caso di specie i corridori) possiedono un capitale semantico (fatto di significato e di senso) che animali ed esseri artificiali non potranno mai possedere. Animali e robot mancano, infatti, di quella “narrazione interna” che supera il mero significato o la sintassi per attribuire un “senso” al nostro essere-nel-mondo.
I corridori, passati, presenti e futuri, condividono un “senso” specifico nella nostra comune storia che non è realmente “comprensibile” neppure ad altri umani (non podisti): tale “senso” – che può ben essere compreso anche da altri, almeno a livello di significato e di sintassi – definisce unicamente noi e non altri.
Il pacer non solo è come noi ma è addirittura migliore perché assume un compito che richiede oltre alle capacità sportive (raggiungibili, prima o poi, anche da un essere artificiale) anche quelle che derivano da una “storia comune” che l’essere artificiale può solo imitare ma che non può aver realmente “provato” nella pienezza di una esperienza “interna”.
Le frasi che potrà dire per incoraggiare, null’altro saranno che una “copia”, adattata al momento, tratta da una serie (anche molto ampia) di possibili variabili. Saranno stupefacenti perché, potendo perfino elaborare gli imput fisiologici dei podisti, diranno la cosa “giusta” al momento “giusto”. Ma l’umanità è altra cosa. Non è dire la cosa giusta al momento giusto, quanto dirla perché intimamente “partecipi”. Io “so” cosa provi; il robo-pacer “risponde” ad un imput.
La strada è lunga e, per correrla, solo un podista può aiutare un altro podista. Tutto il resto è solo un artificio, un trucco. Basta, allora, come negli spettacoli di magia, dopo la sorpresa, ricordare che il trucco c’è, anche se non si vede. Lunga vita ai “nostri” pacer.
“Non hai altra scelta – disse il gatto ad Alice – qui siam tutti matti!”