Il ritorno del Buon Samaritano (al Passatore)

Al Passatore fa la sua ricomparsa il Buon Samaritano. Per questa edizione, infatti, il consueto cliente delle 4,30 della mattina si è presentato a Brisighella (che tutti sanno essere il km 88), con un seguito costituito da Simona ed Eleonora.

Alle nostre due gentili dame spettava un compito non proprio facilissimo, che era quello di mantenere il ritmo (se non – addirittura – aumentarlo) nel tratto più difficile di questa gara.

Nessuno di cui abbia memoria si azzarda a proferire le frasi “di rito”: “Dai, che è finita!”, oppure “Mancano solo 12 chilometri…”. Il ritualismo, qui, non è ammesso, per il semplice rispetto di quanti, con condizioni climatiche piene di incognite, e fiaccati dalla fatica neppure “vedono” il tappeto del rilevamento, arrancando verso il ristoro.

Per coloro che giungono al km 88 tra le 4 e le 5 della mattina, 12 chilometri significa tener botta, per altre 2 ore, 2 ore e mezza. Si comprende bene (o, meglio, si prova a comprendere) quanto possa essere estenuante mantenere la testa concentrata, quando tutto il corpo bestemmia ad ogni passo. Quest’anno, inoltre, il vento e una temperatura non proprio mite – a metà percorso – concorrevano decisamente ad aumentare il disagio.

Detto ciò, il terzetto da “assistere” presentava esigenze affatto diverse. La leader corrispondeva alla locomotiva, per la quale avviati i motori, seguire i binari è un dato di fatto non discutibile. I vagoni successivi, al contrario, necessitano di collegamenti stabili e di assecondare la trazione.

Simona non stava nella pelle, dopo aver agganciato la motrice sindall’inizio aveva raggiunto la piena consapevolezza del risultato. Eleonora, al contrario, aggiunta al convoglio solo successivamente era preda della “testa che frena”, ossia dei pensieri negativi che faceva molta fatica a compensare con quelli positivi. Ormai era certo che avrebbe finito la gara, per cui che importa un’ora in più? È pronta a lasciare stare, nella convinzione illogica di faticare di meno.

Il disagio del corpo condiziona il cervello che, per ridurre il dispendio energetico, è subito pronto a trovare una soluzione facile da accogliere, senza bisogno di rifletterci troppo sopra. Ma non è così: la ricetta giusta è – facile a dirsi – mantenere il polso fermo. Aggiungi qualche secondo, ma non ti fermi. Se possibile, mantieni un’andatura regolare. Non ti piangi addosso, ma ti distrai e procedi innanzi. Tutto facile, in teoria ma, poi, occorre sentirselo dire dopo 90 chilometri e …

Anche nella passata edizione, segnalai la “cattiveria” di non segnare almeno gli ultimi dieci chilometri. Non credo che, organizzativamente, sia una spesa insostenibile. Per il podista, al contrario, sarebbe un aiuto prezioso veder “certificato” ogni passo in avanti. Un conto alla rovescia che è maggiormente funzionale se fatto da altri, quando la testa ragiona al minimo dei giri.

Tra un aneddoto ed un altro, il sole del giorno scalda il fisico ed il cuore, conferendo quel benessere che corrobora i fattarelli che distraggono la testa dal remare contro. Nelle condizioni di fatica, ogni ragionamento che sembri ragionevole (indipendentemente se lo sia davvero) viene recepito senza obiezioni (manca la possibilità di ribattere) e sortisce il risultato atteso. Il corpo va avanti, senza sapere esattamente come. Le camminatrici macinano la strada.

Come per i marines, nessuno è lasciato indietro, ed anche Eleonora alla fine cede. Ci seguirà, seguendo scrupolosamente le istruzioni, senza accampare scuse (peraltro giuste e condivisibili).

Secondo previsioni precise al minuto, tre donzelle stanche ma belle, festeggiano – medaglia al collo – il loro Passatore. Tra testa e gambe, il cuore fa la differenza.

Mr Farronato
Mr. Farronato Podista e scrittore. La corsa mi serve per superare i limiti dell’ordinario mentre, scrivendo, supero quelli dello straordinario. Potete trovarmi – sotto falso nome – nelle gare della nostra bella capitale e, soprattutto, alle maratone. La corsa è la soglia del crepuscolo che si affaccia su un mondo diverso.