Devi volerti molto bene per fare un lungo.
Passare tre ore e più in compagnia di te stesso e nessun altro è una sfida da campioni.
Immagino una persona che non si ama, che corre per dimostrare qualcosa a qualcuno che non sia se stesso o che sia in competizione con se stesso.
Mi domando cosa accade quando un animo inquieto si scontra con il lungo.
Io sono un’ anima inquieta da quando sono nata. Mai all’altezza, mai sicura di me, sempre in discussione, in dubbio, sul filo dell’errore e dell’espiazione come un funambolo tra due grattacieli con l’ombrellino di merletti in mano. Cadere è un attimo. Fallire è un attimo.
Mi è capitato altre volte mentre preparavo il lungo. Una pasta e patate la sera prima, il gel sbagliato, non fare stretching o una interminabile giornata senza bere.
È così facile sbagliare. È così facile flagellarsi. È così facile ricordare le cose brutte, gli ostacoli che la vita ci ha messo davanti e lasciarsi andare alle lacrime in una giornata uggiosa di febbraio.
Cosa accadrebbe invece se, facendo appello a tutta la mia forza d’animo decidessi di bere acqua a sufficienza, mangiare pulito e prenderla come una meravigliosa avventura?
Mentre continuo ad agitarmi pensando a domani, a dove andrò, a cosa farò e come mi comporterò nella più totale solitudine penso che esiste un modo buono per prendere le difficoltà della vita.
Il lungo è una difficoltà, ma la vita non sarebbe entusiasmante senza una buona dose di difficoltà per raggiungere gli obiettivi. La soddisfazione sarebbe solo a metà se tutto andasse sempre liscio, se tutto fosse facile.
Corriamo la maratona per poter dire a noi stessi “Sono in grado di affrontare una difficoltà estrema per il mio corpo e la mia mente. Sono in grado di fare qualsiasi cosa”.
Questa frase ci permette di affrontare le avversità della nostra vita dicendo “Io ho corso una maratona!” E tutto passa in secondo piano, tutto diventa più semplice, tutto si ammanta di una luce nuova perché guardiamo la nostra vita da un’altra prospettiva.
Se guardassimo da un’altra prospettiva anche i lunghi in preparazione della maratona?
Intanto il passo. Non corro dietro l’autobus che devo andare a tutta. Comincio dai piedi, dalle gambe, dall’addome. Li invito ad andare piano, ad un passo leggero, guardandomi intorno, godendomi la mattina in una città che, nel giorno del blocco del traffico, è popolata solo di runners che preparano la maratona.
Piove. Il grigio del cielo esalta i colori freddi, il verde degli alberi è dominante, le gocce sono piccoli istanti di sollievo sul viso. Un buon goretex mi evita di fermarmi se piove forte. La pioggia lava i pensieri e li rende più luminosi, lava via tutto quello che non ci piace, dispiaceri, ansie, angosce e ci rende più sereni e pronti ad accogliere la felicità che fiumi di endorfine sono pronte a donarci.
Se c’è il sole ancora meglio.
Ho una buona compagna di viaggi, ho smesso di farle la guerra tanto temp fa ed ora siamo amiche io e me. Ci piacciono le stesse cose, ci incazziamo per le stesse cose, diciamo una tabellina per una e chi sbaglia paga pegno. Come due buone amiche ricordiamo le cose belle, quelle brutte le conserviamo per quando non abbiamo nulla di meglio da fare. Oggi stiamo correndo il lungo e ci facciamo forza a vicenda. Ci teniamo per mano in questa lunga passeggiata nel cuore di Roma.
Il punto di vista è fondamentale, la pace interiore, la forza, il coraggio di mettere ancora una volta un piede davanti all’altro senza abbattersi, ma cercando spunti nuovi di felicità.
Se ogni km fosse un desiderio io domani avrei 33 desideri da esprimere. Sono quasi certa che il trentatreesimo sarebbe “voglio tornare a casa, ingurgitare il frigorifero intero, addormentarmi sotto la doccia, riaddormentarmi da asciutta e svegliarmi 12 ore dopo”, ma quale sarebbe il primo desiderio? E tutti gli altri? Ho un mucchio di cose da pensare.
Non posso lasciare niente al caso. Ho bisogno di una buona colazione, che sia digeribile e preparata in tempo, ho bisogno di gel e di fontanelle lungo il percorso per idratarmi a dovere, ho bisogno di abiti comodi e calzini che non mi facciano venire vesciche, ho bisogno di amarmi per valutare tutte queste necessità per far si che la mia sia una bella avventura e non un incubo da dimenticare.
Niente va lasciato al caso.
È una progettazione attenta, fatta di sperimentazioni, di certezze, di dettagli che non vanno trascurati.
Sono le 6. L’odore del miele mi da la nausea, sono agitata e non mi va di mangiare. Trangugio la colazione, bevo le maltodestrine e torno a letto cullando l’illusione di rimettermi a dormire. Fallisco. Mi ripeto che “Vabbè, sto sdraiata e riposo stesso!”. Mento a me stessa perché l’ansia mi fa rigirare nel letto come una trottola con somma gioia di divanoman che dorme beato accanto a me. Penso, come tutti del resto, che in fondo chi me lo fa fare?potrei uscire e passeggiare tranquilla, farmi un cappuccino e cornetto al bar, godermi il sole ed invece sono qui a pianificare ogni centimetro di questi 33 km sapendo che dovrò farne ancora 36 e poi la maratona.
L’ho fatta la vita del cappuccino e cornetto al bar, delle passeggiate tranquille, dei tacchi alti e dei bei vestiti, ero triste, confusa e perennemente alla ricerca di qualcosa.
Ora ho i piedi pieni di calli, senza unghie e devo le ho suo nere, porto continuamente le scarpe da running, mi sono venuti i piedi piatti, sono sempre piena di dolori, esco a mezze maniche, la mattina presto con 8 gradi, mi metto continuamente alla prova, ma cazzo!!Sono felice!!
Sta per suonare la sveglia, la spengo, mi alzo e penso alle parole di Roberto di Sante, nel suo libro, Corri. Dall’inferno a Central Park “domani ti riposerai, ma dopodomani farai un lungo sul filo dell’orizzonte”, tiro un respiro profondo, apro la porta di casa, apro il cancello che odora di ruggine e mattina e parto.
Un piede davanti all’altro, sola, senza musica, pronta a perdermi nei dialoghi con me stessa sotto un timido sole di Febbraio.