Quando vedo le foto di una gara, quelle fatte dei fotografi ufficiali per intenderci o magari dagli amici che inquadrano altri amici che corrono, mi piace fissarmi su tutta la scena e non solo su chi è al centro della scena.
Non mi soffermo sull’espressione di chi sta gettando il cuore oltre l’ostacolo della fatica nel momento esatto in cui viene fissato nel primo piano dell’inquadratura.
Tutt’altro, mi piace invece osservare chi c’è fuori campo, scovare i soggetti che inconsapevolmente entrano nella narrazione di una storia vicina alla loro ma diversa, un po’ come quando ti fermi a guardare la agente che passa e immagini che vita fanno, da come camminano e i dettagli che indossano come sarà la loro giornata.
In questa regia neorealistica che usa la strada come location naturale per raccontare il soggetto scritto su un copione astratto, oltre agli atleti, ci sono i passanti, disturbati nel loro incedere tra le vie della città, i volontari con le loro divise colorate intenti a far rispettare un codice della strada transitorio e insolito.
Poi ci sono gli atleti distratti che guardano altrove, non seguono l’azione dell’anonimo regista, i quali hanno volti sofferenti o pensierosi, in un’azione affrontata a volte da impavidi delle fatiche quotidiane o codardi davanti alla fatica del momento.
Sono uomini e donne che sembrano fare di tutto tranne che correre da quanto la loro mimica facciale è diversa da quella del soggetto inquadrato al centro della foto.
Insomma, mentre corriamo una gara, ovunque ci troviamo, sembriamo tanti personaggi di uno show, ognuno con il proprio ruolo: una volta siamo i protagonisti, una volta le comparse.
Ricopriamo ruoli generici o ricercati di un film che si ripete ogni domenica, e che nonostante siamo a conoscenza del finale, ci continua ad affascinare e ad attrarre nel tempo per ogni fotogramma.