I RUN W/MY H-AIR

Era il 2017, l’anno in cui ho deciso di smettere di sognare e giocare la mia partita con le carte che ho tra le mani.

L’anno in cui ho deciso che per sancire questo contratto con me stessa dovevo infilarmi in una nuova avventura e gettarmi alle spalle il passato che mi portavo addosso come una inutile zavorra.

L’anno in cui ho conosciuto Francesca.

Era bella, mostrava meno degli anni che aveva e aveva una forza incredibile, sia fisica che emotiva. Il suo cuore era un bove che tirava un carretto di sentimenti, a volte confusi a volte cristallini, un bagaglio di emozioni immenso ma mai pesante.

Un bagaglio col sorriso.

Un bel giorno la incontro con un nuovo taglio di capelli, aveva rasato a zero i suoi bellissimi capelli ondulati e col sorriso mi aveva detto:

“ho deciso di darci un taglio!”.

Mi uscì dal cuore un “sei bellissima!” ignara e com’ero del motivo di quel gesto, me lo dissero pochi giorni dopo. Tumore al seno.

Avevamo tutte e due un motivo più che valido per avventurarci lungo la Cristoforo Colombo fino a Ostia solo sulle nostre gambe. La vita ci aveva rubato i sogni e volevamo mostrarle che eravamo più forti di lei e in parte è stato così.

Eravamo runners domenicali, cinque o dieci chilometri al massimo, intorno al laghetto o lungo le strade altalenanti dell’eur, alternati a scalinate alla Rocky Balboa e sessioni di potenziamento in palestra, chi mai pensava che avremmo corso la Roma Ostia!

Dopo che la chemioterapia le aveva rubato i capelli, come il primo freddo fa con le foglie d’autunno, arrivò il verdetto del controllo. Sparito. Aveva vinto, o così ci raccontava.

Ancora oggi quando passo sul ponticello del laghetto di corsa la domenica mattina glielo chiedo, come se lei fosse ancora li, ancorata al nostro posto.

“me l’hai raccontata o ci credevi anche tu? Lo sapevi?”.

Io non lo saprò mai.

Fu allora che cominciammo. Come una rinascita, come la primavera che risveglia gli alberi e i suoi capelli che ricominciavano a crescere.
Ripetute in mezzo alla settimana e lungo la domenica. Ricordo ancora i nostri primi 15km.

Allo scoccare del decimo chilometro provai una sensazione stranissima, mi sentivo come il primo uomo sulla luna. “un piccolo passo per il runner, un grande passo per Lud”.

Stavo superando i miei limiti, era la prima volta e mi sentivo contemporaneamente libera e terrorizzata.

Lei no, protestava come da copione, ma dopo un paio di brontolii era li pronta ad affrontare la salita del Tintoretto come una guerriera che dice “ok! A noi due! ti faccio vedere io!”

E così fu.

Macinò gli ultimi 5 km come aveva fatto con i precedenti 10 senza mai abbassare lo sguardo, risparmiando ogni respiro per uscirne con una vittoria, perché ad armi pari vinceva lei, senza altre opzioni.

Le settimane passavano e la gara si avvicinava, la concentrazione era altissima e le nostre strade correvano parallele, ma un po’ più distanti. Io correvo la domenica mentre lei dedicava la domenica alla sua piccola Stella, fino al giorno della gara.

Ci incontrammo sotto casa mia, faceva ancora freddo e noi, da brave principianti eravamo tutte imbacuccate. Prendemmo il caffè e ci incamminammo verso la partenza.

Potevamo personalizzare il pettorale e io mi limitai ad un banalissimo “SuperLud” che feci stampare anche sulla maglietta. Sul suo, concentrato in una sola riga c’era tutto il suo ultimo anno di vita “I RUN W/MY H-AIR” corro con il mio respiro, corro con i miei capelli.

Ci incamminammo verso la griglia di partenza, la persi nella folla, mi girai intorno molte volte per cercarla ma non c’era più, era stata inghiottita da quel fiume umano carico di sogni che volava verso Ostia.

Cominciai a correre. Le gare lunghe hanno questo difetto, ti lasciano un mare di tempo per pensare. Pensai che farcela avrebbe significato “una nuova possibilità”, tagliare il traguardo voleva dire

“lascio il mio dolore lungo questa strada dritta, scarico la mia spazzatura lungo il percorso per purificarmi davanti al mare”.

Ogni respiro lo sentivo forte e profondo, ma sopratutto libero. Avevo una nuova possibilità.

Il mare era lì, di fronte a me, vedevo il traguardo alla mia sinistra e da neofita pensavo di essere arrivata, invece no. Mi si parava davanti l’ultimo sforzo, il lungomare. Ad ogni passo stringevo i denti sempre di più, non arrivava mai e poi eccolo, il traguardo, la nuova me.

Seguivo la folla raccattando pezzi. L’impermeabile, la medaglia, il sacchetto del ristoro; era tutto meccanico, sembrava un sogno.
Cercai Francesca tra la folla, non la trovavo quando ad un tratto vidi una bambina con un cartello colorato tra le mani. Sul cartello c’era scritto

“La mia mamma è wonder woman”.

Era Stella.

Ancora oggi quando penso a quel cartello, a quella foto, a quella bambina che era li a tifare per la sua mamma con tutti i colori dell’arcobaleno tra le mani, mi si scalda il cuore.

Andammo a cambiarci e la vidi li, su quella terrazza davanti al mare, a respirare a pieni polmoni quell’aria pulita e fredda, la sua aria. Io la ricordo così. Si perché poi non la vidi più. Si aggravò un paio di settimane dopo e si spense in un battito di ciglia.

Il suo ricordo è li per sempre, sul ponticello di vetro del laghetto dell’EUR, guida il mio passo, sento la sua risata, professo il suo insegnamento.

Mi ha insegnato che ogni istante è un granello di sabbia prezioso che va onorato nel ricordo e nel nome di chi non c’è più. Mi ha insegnato che il tempo non si spreca.

Lo scorso anno non volevo correrla, sentivo il peso del ricordo sulle spalle, la rabbia per le parole non dette. Ecco si, ho corso con rabbia e mi sono liberata dai brutti pensieri dopo il traguardo.

Quest’anno la correrò ancora, libera da ogni tristezza, felice di ricordare, con la consapevolezza della mia fortuna, onorando ogni metro che la vita vorrà regalarmi.

Ludmilla Sanfelice

 

Un giorno senza sorriso è un giorno perso. Non importa quanti pesi portiate sulle spalle, la vita è un battito di ciglia e va vissuta in ogni istante. Come l’ho scoperto? Allacciando le scarpe e cominciando a correre. Run Lud Run! Ogni giorno una nuova storia aspetta di essere raccontata.