Fabio Erobusti, storia di un master esemplare

Foto - Leo

Quando vedo correre Fabio Erobusti penso che la natura possa essere una grande alleata.

Perché nella vita di chi pratica regolarmente uno sport, il fisico diventa soprattutto il mezzo per vivere bene.

Nella quotidianità di persone come lui non lo so cosa sia più importante tra l’allenamento, lo stile di vita e la predisposizione mentale alla fatica, ma sta di fatto che quando lo vedi correre tutto diventa possibile, liberandoci dalla domanda per Master così forti: “eh se avessero iniziato prima”?

Fabio aveva iniziato prima, ovvero prima di quando oggi un uomo abitualmente decide di prendere la strada e correre per stare bene.

L’appuntamento con la corsa arriva a 25 anni a fine 1993… quando affacciandosi al campo di Caracalla si riaccende una fiamma mai del tutto sopita.

L’esordio non fu dei migliori, in quanto gli venne detto, da un allenatore del posto, di essere troppo vecchio per iniziare. Quelle parole Fabio non le ha mai dimenticate e gli diedero spunto e motivazione per correre la prima mezza maratona Roma-Ostia, in 1h.15min 02 sec, ovviamente senza real time e con due mesi di preparazione partendo in ultima griglia…

Chiudere una 10k in 36’, a 54 anni suonati e spingere su ogni gara fino al traguardo con accanto e spesso dietro, atleti con la metà dei suoi anni è un privilegio. Dopo tutti quei chilometri sulle gambe, per mantenere quel vantaggio, uno come Fabio usa la testa.

Non ha mai creduto di aver doti da campione ma certamente ha sempre avuto discrete potenzialità e soprattutto una rabbia agonistica interiore che gli permetteva di allenarsi in modo forsennato sopportando la fatica come una sfida personale in cui esaltarsi. Così raggiungi un equilibrio che maturi con passione e lealtà, impegno e rispetto prima di tutto verso se stessi, gli avversari e le regole della vita.

La corsa è stata sempre fortemente intrecciata alla sua vita personale e non a caso mi ha regalato la conoscenza proprio in quel campo, di quella che sarebbe diventata sua moglie e dell’amico più importante un certo Giorgio Calcaterra…

Come in tutte le grandi storie d’amore il rapporto con la corsa di fabio subisce un brusco stop. Dopo aver ottenuto, nell’Ottobre del 1998 a Montalto di Castro in una Mezza Internazionale, il crono di 1h 11 min 18sec. correndo  gli ultimi 3 km con una lesione al bicipite femorale dx.

Da quel giorno complice l’infortunio si blocca per qualche mese, e non volle più riprendere a correre mentre l’amicizia con Giorgio diventò, se possibile, diventa ancora più intensa scegliendolo sia come testimone di nozze e successivamente nel 2002, come padrino del figlio.

Non so dire ancora oggi cosa causò quel blackout mentale dalla corsa; probabilmente, l’essere oltremodo esigente con me stesso, delle eccessive aspettative personali per un atleta dopolavorista che in fondo correva i 10000 mt in 32.48 e le mezze maratone sempre tra 1h10 min e 1h 13 min. senza punte di eccellenza assolute dunque.      

Nel frattempo, l’amicizia con Giorgio si consolida, come i risultati atletici del campione e Fabio diventa manager-amico che prende accordi con gli organizzatori per spuntare le migliori condizioni, per ottenere la sua presenza in gara. Le sue vittorie lo esaltano come fossero le sue e forse ancor di più.

Ma Fabio sentiva comunque nel cuore di aver lasciato un percorso a metà, di aver interrotto troppo presto la strada intrapresa già tardi.

A fine 2012, alla tenera età di quasi 44 anni, decide di riprendere da dove aveva lasciato.

Da quando ho ripreso sento di aver trovato maggior maturità; il mio modo istintivo e passionale di correre mi porta sempre ad infortunarmi ma ad ogni caduta segue una risalita. Proprio dal 2013 in poi, mi sono cimentato per la prima volta nella maratona correndo la medesima due volte in 2h:41min e altre volte nel corso degli anni sotto le 2h:45min.

La maratona lo ha affascinato perché è un po’ come far scorrere le immagini della propria vita lungo le strade che ti portano al traguardo.  Il modo di vivere ed approcciare la corsa lo ha sempre posto in discussione con sé stesso e con i suoi limiti, mai con gli altri.

Quando indossa un pettorale di gara, si concentra sul suo mondo interiore, sulla energia proveniente dal cuore; non corre mai contro qualcuno; cerca solo di migliorarsi anche di un solo secondo.

Ha smesso da tempo di essere un romantico fuggiasco; corre cercando un confronto il più possibile reale con l’uomo che è diventato.

Non corre per sentirsi giovane o cercare il peter pan che è dentro ciascuno di noi; nella corsa trova uno strumento importante per vivere meglio e dare un esempio valido a suo figlio Francesco.

L’uomo e l’atleta devono viaggiare di pari passo. Questo è ciò che mi gli insegnato suo padre Francesco, col suo esempio di vita, ed è ciò che tramanda a suo figlio usando anche le gambe.

Il mio ringraziamento per il percorso compiuto, va prima di tutto a mio padre scomparso cinque anni fa, alla mia famiglia, agli amici d’infanzia ed a Giorgio per essermi stato accanto in modo indimenticabile per una parte della mia vita.   

 

 

 

Marco Raffaelli
Appassionato dello sport e di tutte le storie ad esso legate. Maratoneta ormai in pensione continua a correre nuotare pedalare parlare e scrivere spesso il tutto in ordine sparso