Parliamo spesso delle gentili dame come l’altra metà del cielo. E auspichiamo che ciò valga anche per lo sport.
Vi stupirà sapere che qualcuno ha giudicato lo sport femminile poco interessante e, anzi, come “la cosa più antiestetica che gli occhi umani possano contemplare”. Non si tratta di un “qualcuno” qualsiasi ma di Pierre de Coubertin, il fondatore del Comitato Olimpico Internazionale, per il quale, l’importante era la partecipazione dei soli uomini.
Per rincarare la dose il nostro Pierre si espresse a più riprese in senso contrario all’inclusione delle donne nelle competizioni, sostenendo apertamente che il loro ruolo all’interno delle Olimpiadi dovesse essere solo di tipo “coreografico”, cioè quello di incoronare i vincitori.
Le prime partecipazioni del gentil sesso sono iniziate nel 1900, con 12 partecipanti, peraltro nei soli sport considerati “adatti” alle donne (tennis, vela, croquet, equitazione e golf). Evidentemente, si confondeva il connotato dell’eleganza con quello sportivo, tant’è che erano espressamente precluse le specialità dell’atletica leggera. Non sia mai la vista di donzelle in pantaloncini. Soltanto dalle Olimpiadi di Amsterdam, del 1928, alle donne è stato consentito di presentarsi per la prima volta in alcune competizioni di atletica e ginnastica (in particolare: i 100 metri, gli 800 metri, la staffetta 4×100 metri, il salto in alto, e il lancio del disco).
Occorre giungere al 1979 per vedere sancito, a livello internazionale, il diritto delle donne alla partecipazione nelle competizioni sportive. L’art. 10, lett. g), della Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione verso le donne, afferma che alle donne devono essere assicurate, su un piano di parità, le stesse opportunità di partecipare attivamente agli sport ed all’educazione fisica. Infine, nel 1996, quindi non tanti anni fa, il Comitato Olimpico Internazionale ha inserito nella Carta Olimpica un riferimento diretto ed esplicito all’impegno da riservare per la promozione della presenza femminile nello sport.
Tutta questa ricostruzione è funzionale a farvi presente che, dopo i Giochi di Tokyo del 2020 (in realtà 2021) dove la presenza delle donne ha raggiunto il 48,8% dei partecipanti, solo nelle Olimpiadi di Parigi di quest’anno, per la prima volta nella storia, è stata conseguita la parità di genere tra atlete ed atleti, alla luce del fatto che un numero di egual misura di uomini e donne gareggeranno, nello stesso numero di competizioni e di sport.
Questa era l’unica notizia degna di nota che, invece, si è smarrita accanto al più becero spirito woke, in cui la parità di genere (e l’inclusività che ne è il corollario), è diventato un calderone in cui si miscelano le tematiche più discutibili dei nostri tempi come l’ambientalismo esasperato, la fluidità dei generi a la carte, la cancel culture, e via discorrendo.
Prendiamo solo le notizie “buone” e lasciamo perdere il resto. La notizia, ovviamente, è che, sportivamente parlando, ora le donne sono davvero l’altra metà del cielo. Siamo maturi perché possano sopravanzare i maschietti e chissà se non si impari qualcosa di nuovo. Credo che ce ne sia molto bisogno.