Diciamo che pare faccia caldo (delirio podistico)

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Fa caldo. Su questo possiamo convenire. Traggo questa informazione, non tanto dalla stampa (i giornalisti… le solite prostitute, diceva, non senza un perché, Ennio Flaiano), quanto da alcune evidenze fattuali.

Passo la notte dentro una vasca di sudore. Seguono incubi in cui il freddo è il protagonista, assieme a mostri di ogni sorta. Il mio computer ha smesso di collaborare: sul mousepad si può tranquillamente cuocere una bistecca.

Pare che si tratti del caldo più intenso da quando, circa 55 milioni di anni fa, nel passaggio tra il paleocene e l’eocene, la temperatura del nostro pianeta si è elevata di 6 gradi per circa 20mila anni. Nel brodo, costituito dalle acque marine, si è registrata una vera e propria strage di organismi, finiti, più o meno, lessati.

Esattamente come noi in questo specifico contingente temporale.

Il cervello fatica a connettere e diveniamo prede delle sciocchezze più perniciose. Tutti gli algoritmi che analizzano, in schemi tridimensionali, le variazioni di quella duna di dati che si innalza dal movimento delle variabili.

Il gradiente, la trasparenza e l’attrito delle informazioni ne risulta compromesso data l’instabilità della possibile prevedibilità dello spostamento di terabyte degli elementi posti alla base delle previsioni. E’ confermato che un battito d’ala della farfalla telematica genera, realmente, un frattale che stenta a trovare una dimensione intellegibile agli strumenti diagnostici che si limitano, di default, a confermare la presenza di una anomalia.

E, fin qui, non serve un master in progettazione analitica di terzo livello per una elaborazione, tutto sommato, scontata.

La comprensibilità non è uno schema fisso, come sanno bene tutte le matricole. Ma, da qui, affermare la potenziale inconoscibilità ce ne corre. Sarebbe come sostenere, senza bisogno di uno straccio di motivazione, che la successione dei numeri primi è destinata a interrompersi solo per il fatto della sua – attuale – incalcolabilità.

Ho provato a vedere se, con una lettura basata sulle ricorrenze dei colori (cioè delle relative frequenze), si potesse “sterilizzare” in qualche modo l’anomalia; tuttavia, una volta che si imposta un intervallo di “tolleranza” si torna al punto di partenza.

I margini – nella nostra decisione – sono troppo aleatori da fornire indicazioni conclusive. Il problema viene solo ridotto ad una scala metrica diversa, ma tale resta.

Voi direte: beh, corriamoci su! Ma il termine “correre”, con questo clima, genera lo stesso effetto del codice 404. Il nostro intimo, vuole continuare a restare su questa faccia del mondo e rifiuta, decisamente, ogni ipotesi di autodistruzione.

Se, però, i cantori del cambiamento climatico hanno ragione, occorrerà attrezzarsi di modo da generare una futura “specie” magari non maggiormente intelligente (ammesso che questo sia un valore, come gli attuali tempi smentiscono), ma “climaticamente” più duttile ed in grado di essere refrattaria alle variazioni climatiche.

Il nuovo organismo non accetterà misure intermedie ma solo oscillazioni estreme da -10 a +35 gradi; sarà in grado di riallinearsi, in un nanosecondo, al contesto, avendo lasciato da parte ogni valutazione di ragionevolezza non più necessaria alla sopravvivenza.

Un corpo, per così dire, “automatico”, un termostato fatto persona.

Oggi, restare al coperto appare ragionevole; domani, l’automatismo, non avrà bisogno di alcuna ragionevolezza per funzionare.

Questo delirio iperbolico è dedicato a Greta Thunberg: che il suo dio l’abbia in gloria.

correre in autunno

 

 

 

Mr Farronato
Mr. Farronato Podista e scrittore. La corsa mi serve per superare i limiti dell’ordinario mentre, scrivendo, supero quelli dello straordinario. Potete trovarmi – sotto falso nome – nelle gare della nostra bella capitale e, soprattutto, alle maratone. La corsa è la soglia del crepuscolo che si affaccia su un mondo diverso.