
Il 7 giugno si è tenuta l’ennesima manifestazione pro Palestina. Nello stesso giorno il “Diario da Israele” dello scrittore Eshkol Nevo parla di corsa.
Ha deciso che per ogni giorno di guerra avrebbe corso ogni mattina, per sensibilizzare gli ebrei rispetto ad una condotta che appare molto problematico sostenere. L’autodifesa non può, infatti, comportare la morte di donne e bambini e, in genere, di non combattenti.
Ogni mattina, all’alba, la corsa nel deserto – che pensava sarebbe stato un appuntamento per un paio di mesi – diviene sempre più pesante. Piena di pensieri, sulle persone morte, sulla figlia che, terminato l’addestramento, è in procinto di essere inviata in prima.
Corre contro un governo, guidato da un folle, il cui comportamento concorre – oltre ad Hamas – a mettere a rischio l’esistenza stessa del suo Paese.
“(…) fa caldo. L’aria è immobile. Eppure, nonostante questo, nonostante mi dolgano tutti i muscoli, non mi fermo.
Non mi fermo mai mentre corro, fermarsi significa rinunciare, fermarsi significa cedere alla disperazione e al fallimento e alle profezie di distruzione, continuo fino all’osservatorio in cima e solo a quel punto mi arresto, ansimante, ad osservare il cratere”.
Fermo sull’orlo della voragine.
Una enorme buca dalla quale, esseri umani degni di tal fatta, devono inerpicarsi per uscirne fuori, per dimostrare a tutti che si può essere migliori di così e che gli inganni del canto delle sirene possono restare del tutto inascoltati.
(…) ma io voglio dirvele, perché conosciutele o noi moriamo / o scampiamo, schivando la morte e il destino. / Anzitutto ci esorta a fuggire il canto / e il prato fiorito delle divine Sirene (…) (Odissea, XII, 156).
[Riferimento: E. Nevo, Sull’orlo della voragine ormai la tragedia di Gaza non si può più ignorare, in Corriere della Sera, 7 giugno 2025, p. 12]