Come corri è il tuo documento d’identità podistica

Marco insieme a Mariacristina sul lungomare di Latina

C’è una verità non detta, ma ben visibile, che unisce tutti i runner del mondo: ognuno ha un passo unico, inimitabile. Non importa quanti chilometri macini, quanti record insegui o se ti sei appena alzato del divano: la corsa è una forma di linguaggio.

E quel linguaggio racconta chi sei, meglio di quanto potresti fare con le parole.

Il popolo dei runner è in continua evoluzione. Cambia, si rinnova, accoglie nuovi appassionati con ogni nuova stagione. Ma in fondo resta sempre lo stesso: fatto di sguardi complici alla partenza, sorrisi esausti al traguardo, e quella voglia condivisa di mettersi in gioco.

I neo-runner portano freschezza, energia, quel sorriso ingenuo e potente che dice: “Ce l’ho fatta”.

I veterani, invece, portano esperienza, ritmo, resilienza.

E poi ci sono i “nonni runner”, che ci insegnano che l’età è solo un numero e che il vero tempo che conta è quello che dedichiamo a noi stessi.

Correre è come mettersi davanti allo specchio, ma senza filtri. Se stai bene, corri meglio. Se hai qualcosa che ti pesa dentro, la corsa lo rivela: ti appesantisce, ti storce, ti cambia il respiro. Eppure, anche in quei giorni storti, metti un piede davanti all’altro, e vai. Perché correre è una forma di cura, un atto di verità.

E allora, mentre gli esperti parlano di tecnica, di appoggio, di postura ideale, noi sappiamo che nella fatica vera, quella da metà gara o da salita infinita, l’unica cosa che conta è il nostro “documento d’identità podistica”: quel modo tutto nostro di stare in strada, a volte storto, scoordinato, sgraziato, ma sempre autentico.

Siamo riconoscibili da lontano. C’è chi ha le spalle tese, chi trascina leggermente i piedi, chi ha il busto proteso in avanti come se volesse afferrare il traguardo a mani nude. Non servono loghi, non servono divise. Basta un’occhiata per dire: “Eccolo, è lui. Corre come sempre.”

In un mondo che corre per apparire, noi corriamo per riconoscerci. Per accettare le nostre imperfezioni, per specchiarci negli altri, per appartenere a qualcosa di più grande. Perché in mezzo a migliaia di runner, quello che ci fa sentire parte della stessa famiglia non è il tempo sul cronometro, ma il passo. Il nostro passo.

Alla prossima gara, quindi. Che sia un personal best o una corsa lenta al tramonto, che sia un debutto o il centesimo pettorale, ricordiamoci che stiamo raccontando una storia. La nostra.

Buon passo a tutti. Il vostro passo. Quello che vi rende unici.

L’immagine ha il solo scopo di raffigurare la parte più bella trail running – Foto4go
Marco Raffaelli
Appassionato dello sport e di tutte le storie ad esso legate. Maratoneta ormai in pensione continua a correre nuotare pedalare parlare e scrivere spesso il tutto in ordine sparso