Dirigere ma, prima, sudare

L’arte del comando è disseminata di fatica. Anche se, per l’avventura, si sia nati “capi”, il sudore per conquistare il diritto(dovere) di manovrare il timone, inevitabilmente ci ha intriso gli abiti.

La General Electric (una Zaibatsu che passa dalla fabbricazione dei rasoi elettrici, ai sommergibili nucleari, ai satelliti) l’ha capito da tempo. Il suo centro di formazione per manager (a New York, all’interno del parco di Croton-on-Hudson) non è solo un luogo dove affinare le conoscenze ma anche quello in cui lo spirito di corpo e di gruppo è esaltato nella fatica fisica. Lo chiamano “Outward bound”, ossia il salto all’esterno.

I manager sono divisi in gruppi all’interno dei quali vi si trovano, oltre a tutti i gradini gerarchici, provenienze diversificate in base alla nazionalità delle consociate. Il “salto” è costituito, dapprima dal rafforzamento complessivo, ossia svariati chilometri di corsa all’interno del parco. Dopo che gambe e polmoni possono reggere la “distanza”, si passa ad esercizi che richiedono la necessaria coordinazione da parte dei singoli gruppi: scavalcare un muro di circa 6 metri, attraversare un ponte di corde sospeso tra due querce, camminare ad occhi bendati, fino a raggiungere una meta prestabilita, facendosi guidare unicamente dagli altri sensi. La prova finale è costituita dalla costruzione di una zattera (con barili, corde e travi di legno), con la quale attraversare il (gelido) fiume Hudson.

Prima del comando, dunque, il sudore, sotto gli occhi attenti di psicologi ed esperti di comportamento in stato di crisi (materiale e spirituale). Da questi “ardimenti” emerge l’assessment per il quale non bastano le capacità “conoscitive” ma servono anche doti “atletiche” connesse con il problem solving in cui si miscelano muscoli e cervello. Nella prova finale, infatti, non di rado i risultati migliori sono offerti dalle gentile dame che, seppur difettando in parte degli attributi muscolari, hanno sviluppato i modelli costruttivi più efficaci per valicare il freddo fiume. Ulisse (e la sua consorte) lo sapeva bene: dove la forza non basta può arrivare il cervello.

Quali lezioni possiamo imparare da questa impostazione, latamente survivalista?

La prima è la seguente: essere preparati. La “preparazione”, prima di essere una connotazione intellettuale, è una attribuzione fisiologica. Dobbiamo essere padroni del corpo per poter dominare lo spirito. Coloro che sono assunti alla Santità direbbero sicuramente il contrario, ma è un dato di comune esperienza che se non siete sufficientemente “centrati” (ossia in equilibrio), i “fastidi” del corpo vi sottraggono le energie per poter operare come vorreste. I nostri manager sputano i polmoni correndo affinché il corpo poi possa rispondere ai “comandi” quale risorsa e non quale intralcio.

La seconda lezione è: sviluppare i sensi. Abbandonare l’habitus consueto (e le relative sicurezze) per consegnarsi all’ignoto. Una consegna volontaria che precede, almeno in termini esperienziali, quanto potrebbe poi accadere in un qualsiasi momento della vita (non solo quella lavorativa). La comfort zone è, il più delle volte, una mera illusione.

La terza lezione è: assieme è meglio che da soli. Siamo animali sociali, soltanto che spesso lo dimentichiamo convinti di essere molto migliori di quelli che poi siamo nella realtà.

Questa rappresentazione fallace deriva proprio da una carente relazione con l’esterno. Il confronto fa toccare con mano – e ve lo dice un calabro presuntuoso – il limite della percezione di come siamo effettivamente. Dopo questa fase di autoconoscenza ne escono due risultanze: nella prima non comprendiamo un accidente di niente, e restiamo convinti di essere il miglior risultato dell’evoluzione genetica; nella seconda, misurate le (nostre) criticità, appare utile una collaborazione sinergica con gli altri (fossero anche coloro che odiate più di tutti) se è necessario per conseguire gli obiettivi. Prendiamo atto che gli obiettivi, molto spesso, non sono alla portata del singolo, foss’anche un autentico fenomeno.

La quarta lezione è: cercare e trovare le soluzioni. Esistono molti modi per raggiungere un obiettivo. Paradossalmente, ma non troppo, anche non fare nulla, in certe situazioni, potrebbe essere la strada idonea. Ovviamente non come pura “passività” (annichiliti dal problema) quanto come strategia meditata. Tutte le lezioni precedenti convergono nell’ultima. Abbiamo sempre qualche questione – più o meno seria – da affrontare perché come disse qualcuno che la sapeva lunga: la guerra ha molti volti, del quale riconosciamo solo quello più noto, convinti, per il resto, di vivere in tempi di pace.

A questo punto, con poche righe, potrei trasporre tutto quanto nel mondo podistico ma anche la velleità didascalica ogni tanto deve, convenientemente, essere messa da parte.

Lascio fare questo lavoro a voi; altrimenti che capo sarei? 😉

Mr Farronato
Mr. Farronato Podista e scrittore. La corsa mi serve per superare i limiti dell’ordinario mentre, scrivendo, supero quelli dello straordinario. Potete trovarmi – sotto falso nome – nelle gare della nostra bella capitale e, soprattutto, alle maratone. La corsa è la soglia del crepuscolo che si affaccia su un mondo diverso.