Ci voleva il concerto di Capodanno al Circo Massimo per aprire gli occhi sullo strabismo della società civile nell’Italia degli anni ‘20.
Da una parte manifestazioni, spettacoli, dibattiti, convegni e cifre su femminicidi figli di disfunzioni relazionali, scuole che riempiono cinema e teatri per sensibilizzare sul tema ( “perchè è da quest’età che parte tutto!” ), mentre il trionfo di IL RAGAZZO DAI PANTALONI ROSA richiama quello dello scorso anno di C’E’ ANCORA DOMANI.
Tutto molto bello, tutto molto giusto.
Ma, fino a qualche giorno fa, nemmeno una riflessione sul quattordicenne tipo che magari la mattina applaude e si emoziona di fronte ad uno spettacolo il cui scopo è sensibilizzare ed educare per far sì che i femminicidi non facciano più parte di uno scenario futuro e poi, qualche ora dopo, continua a spararsi in cuffia, lo stesso adolescente tipo, parole parolacce insulti che inneggiano alla relazione come possesso e sottomissione.
Qualcosa non quadra da tempo. E Tony Effe è soltanto uno del mucchio, forse nemmeno il peggiore.
Eviterò di pubblicare, per l’ennesima volta, le frasi che i nostri ragazzi, la società del domani, continuano a mettersi in bocca tra una manifestazione contro il femminicidio e un’altra, ma saluto con un moto di sorpresa non tanto la decisione di escludere il rapper dal concerto di Capodanno, quanto l’occasione perduta per un “turning point” dimostrata dai suoi colleghi con frasi risibili che vanno da “l’arte è arte, non va censurata” a “la censura è un tunnel” fino a “solidarietà per Tony Effe” e gli “allora non canto nemmeno io” di Mahmood e Mara Sattei.
Ma veramente?
Propongo a tutte le signore e signorine della canzone italiana di fare un bel concerto in cui cantano, parola per parola, assieme al loro idolo, i brani per i quali, oh my God, gli è stato impedito di cantare al Circo Massimo.
Sarebbe un bel momento di arte contro ogni censura. Meglio ancora sarebbe drammatizzare sul palco le museruole,i guinzagli, mimando tutti gli straordinari momenti evocati nella relazione tra uomo e donna, insomma tutte le scene edificanti buttate in pasto agli adolescenti dai testi per renderle un po’ più iconiche, no? Più efficaci, perché si sa che il visivo arriva prima del testuale.
Meno male che non tutti stanno esprimendo la solidarietà al cantante, peraltro prossimo a Sanremo e che a Capodanno ha virato, mossa da campione, sul Palaeur ove si esibirà ( l’arte che supera la censura ), con riflessioni di un certo spessore, in un panorama molto trasversale che va da Grazia Di Michele a Elettra Lamborghini, voci fuori dal coro, un coro strabico e inconsapevole che tira giù la potenza eversiva dell’arte, citando Caravaggio o Kubrick per paragonarli alle canzoni di cui stiamo parlando, ricordando che la violenza rappresentata non è un’istigazione a ripeterla nella realtà.
Un coro che profuma più di combriccola pronta a vuoti moti di solidarietà che a una consapevolezza forte rispetto ai tempi che viviamo.
Fiorella Mannoia, da anni in primissima fila, nella lotta disarmata contro la violenza sulle donne, si è voltata dall’altra parte, interpellata su questa storia, dicendo “Ho altro da fare”.
Meno male che non ha invocato la libertà dell’arte!
E chiudiamo: la censura è una cosa brutta, da sempre, e siamo tutti banalmente d’accordo che non dovrebbe imbavagliare arte e cultura.
Ma sarebbe bello se si aprissero un po’ gli occhi su questo strabismo che portiamo avanti da anni: un adolescente non ha la capacità di capire che quella è una canzone ( più o meno artistica…), che quello è un linguaggio rappresentato e non da emulare, perché un adolescente ha bisogno di riferimenti e di modelli e, appunto, di linguaggio nella costruzione del sé. Gli ascoltatori di Tony Effe magari non saranno gli assassini delle loro donne di domani, certo, ma sanno bene che la possibilità di vivere la relazione come un mix di possesso e sottomissione esiste.
Lo sanno dalle notizie che leggono, dagli spettacoli che vedono e dalle parole e dalle parolacce che cantano.
Ecco, se l’arte desse una mano a far procedere questi ragazzi in un modo meno ambiguo a costruire una società nella quale la relazione può anche essere un fallimento e puntare sulla parità dei diritti, sarebbe meglio, censura o meno.
I femminicidi fanno notizia, le centinaia di migliaia di ragazze che vengono apostrofate come troie dai loro coetanei, magari giornalmente e con disprezzo, non arrivano sui giornali o alla tv.
E magari ricevere questi insulti mentre la società si attrezza tra giornate della gentilezza e di sensibilizzazioni varie potrebbe inculcare, in questo caso nelle ragazze, il brutto pensiero che è tutto un bluff, un’ipocrisia e che la vita vera è “il mio coetaneo che mi saluta con un ciao troia e non ci faccio nemmeno più caso” e non la commozione davanti a uno spettacolo, a un film o a un concerto in cui le donne possono dire no, possono dire basta, possono dire che c’è ancora domani