Questa è la storia di Alain Mimoun, un uomo che ha vissuto due volte.
Alain Mimoun Ould Kacha correva ed era felice. Nato il primo gennaio del 1921 settimo figlio di una famiglia berbera di contadini in Algeria, viveva una vita semplice, ma piena di sacrifici.
Nella sua prima vita Ali sognava di diventare maestro, un desiderio alimentato dalla fierezza di sua madre analfabeta nel vederlo leggere e scrivere. Ma la vita spesso ci mette di fronte a dure realtà: la borsa di studio che gli avrebbe permesso di continuare gli studi non gli fu concessa e Ali dovette abbandonarli per contribuire al sostentamento della famiglia. A quattordici anni, spinto dalla speranza di un futuro migliore, attraversò il Mediterraneo approdando in Francia. Lì trovò lavoro come muratore, poi in un negozio di ferramenta, dove il proprietario, vedendo la sua tenacia, cercò di aiutarlo.
Ma il destino aveva in serbo per lui un’altra prova: lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale che lo costrinse ad arruolarsi nell’esercito francese e combattere per la libertà che tanto desiderava.
La sua prima vita si interruppe bruscamente sulle colline di Montecassino, nel gennaio del 1944.
In mezzo al fragore delle bombe e al caos di una delle battaglie più sanguinose della Seconda Guerra Mondiale, fu gravemente ferito, ritrovato su un camion con una gamba ridotta in brandelli.
Per venticinque giorni rimase in un letto d’ospedale, in preda a dolori lancinanti, con una scheggia che continuava a muoversi nel suo corpo. I medici americani volevano amputare, ma lui si oppose con tutte le sue forze. In quei momenti di buio, aggrappato alla vita, un sogno iniziò a prendere forma: tornare a correre
E fu così che iniziò la seconda vita di Alain Mimoun. Un medico francese riuscì a salvargli la gamba, restituendogli la speranza di realizzare il suo più grande sogno.
Convertitosi al cattolicesimo, riprese ad allenarsi, spinto da una forza interiore che lo portava a superare ogni limite. Partecipò alle Olimpiadi, sfidando il grande Emil Zátopek, la “locomotiva umana”. Un’amicizia vera nacque tra i due campioni, fatta di rispetto e ammirazione, nonostante la costante rivalità in pista. Spesso Alain dovette accontentarsi del secondo posto, ma non si arrese mai, continuando a inseguire il suo sogno.
Emil con il suo stile unico aveva vinto tutto quello a cui un fondista poteva ambire ed era arrivato a Melbourne con la fama di uno dei più grandi atleti di sempre.
A Helsinki, quattro anni prima, aveva vinto i 10.000 metri, i 5.000 e la maratona nel giro di pochi giorni.
Alle Olimpiadi di Melbourne del 1956, a 36 anni, Alain Mimoun si ritrovò di nuovo al fianco di Emil in maratona. Quella mattina, prima della gara, un telegramma gli annunciò la nascita di sua figlia. Un’emozione indescrivibile lo travolse: la gioia di essere padre si univa alla tensione della gara. Chilometro dopo chilometro, Alain si sentì sempre più forte, le sue gambe, un tempo ferite e martoriate, lo spingevano verso il traguardo.
Superati i 15 km correva in quel gruppetto che via via si assottigliava sempre più, ed era felice. Si ritrovò spalla a spalla con Emil, e capì che l’era di Zátopek stava volgendo al termine. Quando superò Emil, capì che il suo momento era arrivato.
Alain Mimoun vinse l’oro olimpico, tagliando il traguardo tra il boato dello stadio che lo accompagnò negli ultimi 400 metri. Ma il suo primo pensiero fu per Emil: si voltò e lo aspettò, come se volesse condividere quel momento con il suo amico-rivale.
Quando Zátopek arrivò, stremato ma felice per Alain, i due si abbracciarono. La vittoria di Alain Mimoun non fu solo un trionfo sportivo, ma una vittoria sulla vita stessa, la dimostrazione che la forza di volontà, la perseveranza e l’amicizia possono aiutarci a superare qualsiasi ostacolo.