Vi ricordate quando eravamo piccoli e facevamo le corse sotto casa? quelle dove la partenza era una riga bianca a terra e l’arrivo un amico alla fine della via. Non sapevi quanto fosse lunga la gara e usavi lo spazio che avevi a disposizione tra buche d’asfalto e cantieri di palazzi in costruzione.
Erano le corse tra maschi, ma a volte ci trovavi qualche ragazzina e poco importava tanto a quell’età bastava arrivare davanti a tutti, petto in fuori e gambe a vortice. Non avevamo mai le scarpe adatte, tra sandali con gli occhielli in punta o alla meglio le Mecap, quelle blu a la riga bianca. Indossavi pantaloncini corti e canottiera a righe rosse.
Nel 1978 chi correva aveva un solo mito ed era il volto tirato di Pietro Mennea, con lo sguardo incredulo e le braccia in alto dopo il traguardo. Se hai preso parte almeno ad una di quelle corse sotto casa, con la bocca arsa dal caldo e le ginocchia nere di polvere e sudore non puoi non aver detto almeno una volta “ oh sembri Mennea”.
Perché Pietro è entrato nelle righe e nei pensieri di una intera nazione ed è andato oltre i 10”01 di 39 anni fa sui 100 metri e sono diventati la scuola di vita per tanti atleti del nostro paese.
Mennea era la nostra bandiera, sapeva farsi amare anche se non lo avevi mai sentito parlare, ha sfrecciato dentro intere generazioni come un ricordo piacevole, un amico tenero e sicuro, ci ha portati oltre il tempo e ci ha fatto credere che con il lavoro e il sacrificio si può ottenere ogni risultato.
I questi giorni, leggendo le dichiarazione di un giovane ragazzo italiano figlio dello stesso vento che alzava le braccia di Pietro viene da pensare che il sogno realizzato di Filippo Tortu è stato quello di tutti i ragazzini che sotto casa correvano a perdifiato al grido di pronti partenza via…
Filippo è bello come solo a 20 anni puoi esserlo. È tenace e rappresenta tutto il meglio che puoi sperare da un ragazzo che è cresciuto con la sua famiglia accanto e lo sport come scuola.
Il suo profilo di Facebook, da gennaio ad oggi, è la costruzione di un successo, passo dopo passo, dal personale sui 100 metri battuto a maggio (10”03), alle frasi di speranza per quel muro dei 10 secondi che stava per crollare. Poi ci sono le sere con gli amici, gli esercizi massacranti in sala pesi e le ripetute in pista. Sopra a tutto c’è il suo sorriso, quello con il Papa, con la famiglia e i preparatori e la voglia di raccontarsi, come fanno i suoi coetanei.
Cosa resta della vespa del maestro Vittori che corre dietro a Pietro sulla pista di atletica di Formia non lo so, ma so che quella scuola di velocità ha fatto anche parte del successo di Filippo Tortu. Il metodo e le teste sono cambiate ma la voglia di dimostrare che la tradizione di atletica italiana è ancora forte è la stessa.
Filippo Tortu si è tatuato la sua Sardegna sulla pelle, l’impronta, l‘Ichnusa da cui tutto ha avuto inizio nella sua vita, grazie ad una famiglia che sta diventando sempre più grande attorno ad un campione eccezionale.
Noi tutti spingiamo su quel piede, siamo sempre gli stessi impavidi e sfrontati bambini che sognano un giorno di correre come Pietro e come Filippo, perché quando corri non hai tempo per pensare al male, non hai voglia di dare spazio alla ferocia, sei leggero e pulito come il vento in una sera di giugno che ti rinfranca dalle fatiche del giorno.
Bravo Filippo portaci ancora dietro quella riga bianca , petto in fuori e gambe a vortice e facci correre sempre più forte fino al traguardo.