I miei colleghi hanno scoperto l’esistenza di Focene, molto prima della pellicola con la Cortellesi, prendendomi adeguatamente per i fondelli, quasi che facessi le ferie all’Isola Tiberina.
Ad uno sputo da Roma, questa frazione di Fiumicino, costituisce un buen retiro per pochi giorni agostani, da trascorrere, praticamente, dentro una fornace atomica. Una pausa, radioattiva, nella quale ci facciamo rientrare sempre – ehm… se possibile – qualche “vasca” sulla ciclabile.
Si tratta della fettuccia, di 5 chilometri, che costeggia un lato dei confini dell’aeroporto Leonardo da Vinci. La via, ora molto conosciuta, è proprio Via Coccia di Morto. Una denominazione suggestiva che, oggi, rappresenta emblematicamente la sorte di quanti, alle 10 della mattina, fanno il passo più lungo della gamba. Tra le 10 e le 16 è infatti praticamente impossibile correrci, a meno che sia una forma di masochismo, ovvero un tentativo di suicidio con ottime probabilità di riuscita.
Ho provato alle 6,30 ed è fattibile, salvo il fatto che non appena sorge il sole, con lui si solleva una cappa di umidità che toglie il respiro. Per cui, il momento migliore pare il tardo pomeriggio. Intorno alle 18,30, dopo un lungo rosolamento, è l’orario acconcio per praticare questo rettilineo.
Questo percorso, protetto, consente di sviluppare una corsa concentrata unicamente su sé stessa. Non ci sono distrazioni e, di fronte a noi, lo sguardo si perde in un “cunicolo” di cui non si vede la fine. Almeno fino al km 3. L’effetto positivo dell’assenza del rischio è l’aumento della velocità media, scandita dalla successione dei lampioni. Di lampione, in lampione, i pensieri evaporano, assieme al sudore, e si cominciano ad intravedere i particolari di quello che ci circonda. Dallo scarabeo che torna a casa, all’aereo che atterra, alle auto lungo la strada, alle biciclette che si fanno, via via, più vicine.
Ad un certo punto si arriva al pensiero sulla caducità della vita. Nel luglio del 2019, una povera sventurata 27 enne, è stata sollevata – dentro la sua smart dove confidava di trovare rifugio – da una tromba d’aria e proiettata 15 metri più in là, finendo contro la recinzione del suddetto aeroporto. Qui, allora, ricordiamo Noemi e la sua sfortunata vicenda quale memento per quello che, seppur improbabile, può ugualmente accadere.
Un tocco alla foto come se potesse giungergli un cenno di affetto. Non doveva andare com’è andata, ma dobbiamo farcene, comunque, una ragione.
Ad un certo punto, si intravedono i paletti che delimitano la fine della ciclabile (per la parte che ci interessa) ed è ora di invertire il senso di marcia. L’asfalto è ancora caldo e ti avvolge in un sudario umido. Intanto il sole inizia, con lentezza, a tramontare e si allungano le ombre degli alberi della pineta. Ancora un pochino e, anche per oggi, portiamo a casa qualche chilometro.
[Colonna sonora: G. D’Agostino, Cada Vez (Tecno Fes 2 Version); Barrabas, On the Road Again (The Max Steel Road Remix)]