Mentre stavo scrivendo un articolo sul sumo (non si vive di sola atletica), intercetto la finale di (park) skateboard. E, qui, lo spirito olimpico – indizio volutamente fuorviante di questo pezzo – non c’entra nulla, trattandosi di puro e semplice marketing. Alla precedente Olimpiade di Tokyo qualche bontempone, per attrarre i teneri virgulti, ha pensato di introdurre questa “disciplina” che, onestamente, mi sembra una grande boiata.
Il commentatore – immagino un 17enne – diceva delle cose astruse, come se commentasse i tuffi dal trampolino di 10 metri, entusiasta di piroette da parco giochi per bimbetti. Puntualmente, non appena si faceva prendere dall’entusiasmo, l’”atleta” cadeva. La riprova è stata offerta proprio dal medagliato d’oro che, nel fare la “passerella finale”, scivola come un pirla qualsiasi. Un po’ come se a Duplantis dopo la performance gli chiedessero, a gran voce, di fare un salto “dimostrativo” a 5,30 metri ed il nostro Armand prendesse in pieno l’asticella.
Lo skate ha un eccellente compagno di viaggio: la breakdance. Le soglie del ridicolo sono alfine valicate: non era meglio il tango o il rock&roll acrobatico?
Visto che ci siamo, mi permetto di suggerire al CIO qualche nuova trovata, presa a caso:
– il lancio del tronco (Highlands scozzezi);
– corsa coi sacchi;
– ciclismo subacqueo;
– lancio dello smartphone;
– camminata con i libri sulla testa;
– corsa con le sedie da ufficio;
– corsa con i tacchi 12 cm (solo donne);
– hockey su monociclo;
– paracadutismo di precisione;
– powerlifting;
– padel;
– biliardo (carambola);
– bocce (solo anziani);
– tiro con l’arco nudo in campagna (alla sagoma) [è bene aggiungere che è l’arco ad essere “nudo”];
Finito di scrivere mi sono reso conto che questa Olimpiade esiste già e si chiama Takeshi’s Castle. Va solo estesa alle rappresentanze nazionali ed è fatta.