Ho seguito con attenzione l’incontro tra Novak Djokovic e Carlos Alcaraz e sapete già com’è andata. Il serbo ha vinto la medaglia d’oro olimpica battendo il tennista spagnolo con il punteggio di 7-6 7-6, dopo un interminabile scambio di tennis d’elite.
In molti momenti, con colpi spettacolari da fondocampo (spesso oltre i 200 km/ora), si poteva nutrire qualche dubbio sulla vittoria di Novak. Il giovane spagnolo, infatti, oltre alla più giovane età, ha dimostrato di saper replicare con un gioco “specchiato”, in cui si riflettevano identiche strategie di gioco. A questo punto avrebbe dovuto prevalere – a parità di tecnica – la maggiore vigoria fisica perché non vi è dubbio che un ventenne (o poco più) abbia, dalla sua, una dotazione atletica più “performante” rispetto ad un 37enne.
Che cosa ha decretato la vittoria del serbo?
A mio avviso sono state due le variabili che hanno condizionato il match.
La prima, come detto, è stata una condotta “simmetrica” delle parti. Dal fondo, sottorete, dritti spiazzanti… quello che faceva uno, poi lo replicava l’altro e, qui, l’esperienza ha messo quel “di più” che ancora un giovane non può vantare. Altrimenti non sarebbe giovane.
La seconda variabile – poi divenuta fondamentale – è stata la calma “olimpica” con la quale Djokovic non ha palesato alcuna preoccupazione. E’ stato, infatti, “sotto” in numerosi momenti, con cinque palle break dello spagnolo, che sono state rimontate, passo passo, riportando la situazione sotto controllo. Qui, immagino, che il giovane tennista abbia cominciato a dubitare di sé. Avrà pensato: “Questo ‘vecchio’ crollerà. E’ solo una questione di tempo”. Infatti ha insistito nel gioco da fondo campo per fare stancare l’avversario, senza successo. Alcaraz ha cominciato a commettere errori banali che hanno ancor più rafforzato la potenza dell’avversario. Lui è diventato, senza quasi accorgersene, il principale “alleato” del contendente.
Il nostro “vecchio”, da parte sua, non dava alcun cenno – tranne in una occasione – di mollare la presa. Questo ha fatto la differenza, null’altro. L’incrollabile volontà di andare avanti, nonostante tutto. Pronto, se del caso, come gli è già successo, di battersi per cinque ore consecutive.
E’ chiaro che ci troviamo di fronte ad un fisico allenato ma questo non fornisce una spiegazione esaustiva. Al loro livello di ranking mondiale la tempra (e l’allenamento) sono un dato scontato. Ma non la caparbietà con la quale si persegue un obiettivo, senza farsi scoraggiare dai momenti di difficoltà. Una lezione che dal tennis diventa di valenza universale. Tu sei la differenza, quando ti ricordi di esserlo.
Alla fine entrambi i contendenti sono finiti in lacrime. Lo spagnolo, incredulo. Il serbo, per il risultato raggiunto.
Questo è lo sport che merita di essere visto (e non il getto del peso in cui, per una stupidità organizzativa mai riscontrata in precedenza, gli atleti, davanti a tutto il Mondo, hanno corso il rischio di rompersi l’osso del collo).