I bambini – un po’ come gli antichi egizi – non disegnano in prospettiva. La profondità è legata all’oggetto rappresentato, non dai punti di fuga che vengono insegnati a scuola. Se, quindi, la prospettiva fosse una dote espressiva naturale ciò non sarebbe affatto necessario.
In un articolo, appena visionato (il titolo era suggestivo e non ho saputo resistere al “richiamo”), si riporta un’opinione secondo la quale “La pittura non ha come scopo quello di duplicare la realtà, ma di offrire una più profonda comprensione della sua architettonica, del suo materiale, del suo significato; e la comprensione di questo significato, di questo materiale che compone la realtà e della sua architettonica viene fornita all’occhio contemplatore dell’artista attraverso il contatto vivo con la realtà stessa, immedesimandosi in essa e condividendone il sentire” (P. Florenskij, La prospettiva rovesciata, Milano, 2005).
In effetti, la prospettiva costituisce “uno dei possibili schemi di raffigurazione, che corrisponde non alla percezione del mondo nel suo insieme, ma semplicemente ad una delle possibili interpretazioni del mondo”.
Se diamo una occhiata all’arte caratteristica del periodo bizantino (per esempio, le icone) in queste rappresentazioni è assente un punto di fuga verso il quale far convergere le linee.
Anzi le linee divergono e tale trasgressione della confluenza verso il fondo è articolata quale prospettiva rovesciata, in cui è lo spostamento del punto di vista dell’osservatore a determinare la mutevole natura di quello che vediamo. Per capirci, se siete esattamente di fronte ad un palazzo questo appare bidimensionale, ma basta che vi spostiate da un lato ed ecco che spunta la profondità.
La breve lezioncina di storia dell’arte (visiva) è funzionale ad offrire un modo diverso di intendere gli oggetti e il contesto con i quali abbiamo a che fare. Personalmente l’ho scoperto – esaurite alcune incombenze familiari – andando a correre lungo il Parco lineare che da Monte Mario finisce a Monte Ciocci.
Questa sgambata ha adempiuto ad un vecchio debito, di quando, impegnati in faccende estremamente serie, dalle finestre del Gemelli, vedevamo i podisti transitare. Dove andranno costoro? Riusciremo ad andare anche noi?
Due domande di spessore completamente diverso. Da una parte la curiosità di sapere da dove costoro partissero e dove finiva la loro fatica. Dall’altra, la speranza di avere la giusta disposizione d’animo per compiere lo stesso tragitto. Esistevano delle possibilità, non proprio remote, che avremmo potuto non correre mai più come prima. O, mai, del tutto.
Ed eccoci qui, oggi, a provare anche noi questo percorso ciclo-pedonale.
Il percorso si dipana in discesa (all’andata), dall’Ospedale San Filippo Neri, per circa 6 chilometri, giusto di fianco alla linea ferroviaria FL3 seguendo, per l’appunto, le fermate della citata linea ferroviaria: Monte Mario, Gemelli, Balduina, Appiano, Valle Aurelia, costituiscono i punti di attenzione.
Non è una “mera” pista praticabile a piedi o in bicicletta ma, come detto, è stata organizzata come un “Parco lineare”, ossia come uno spazio dedicato a quanti vogliono viverlo indipendentemente da lodevoli intenzioni di natura sportiva. Ci sono panchine, molte fontanelle, slarghi pensati per diversi usi (esempio: ragazzi vi giocano a pallone).
Nel tratto corrispondente a “Balduina”, di circa 1 chilometro, gli abitanti della zona hanno “adottato” ogni singola fioriera, personalizzandola con immagini, messaggi ed anche tipologie diverse di piante. Soprattutto, sono indicati i nomi, sicché potete, ad ogni passo, dedicare un pensiero al nome indicato. Probabilmente uno studente che ora, magari, è all’Università…
Dopo 5,5 Km è il caso di rientrare ed emerge una situazione del tutto inattesa. Quella che doveva essere – e lo è senza ombra di dubbio – una salita, ai miei occhi, risulta esattamente identica al percorso dell’andata. In altre parole, per me è discesa. Ho perfino fermato un tizio, con famiglia al seguito, per chiedergli se, secondo il suo giudizio, quella di fronte a me fosse una salita o una discesa: “E’ una salita, con assoluta certezza”, il responso (proferito con lo sguardo di chi compatisce uno squilibrato in canotta).
In effetti, contro le leggi della fisica non si può andare: se si scende da una parte, invertendo il moto si deve per forza salire. Eppure, per me, non funziona così, provando per tabulas che la “visione” è una lettura che il cervello fornisce e, pur prendendo dati “reali”, nessuno dice che la “risposta” debba essere quella attesa. Del resto, quando si hanno delle allucinazioni quello che si (crede) di “vedere” non esiste del tutto e, quindi…
Questo difetto percettivo è, con molta probabilità, la mancata individuazione di punti di fuga, una prospettiva rovesciata in base alla quale lo sguardo spazia senza costrizioni. Ed ecco il vantaggio: ho corso lungo una discesa di circa 11 Km, inframmezzata da pochi pezzi in piano e pochi dislivelli. Non vedo “bene”, ma qualcosa ci ho guadagnato.
[Riferimento culturale: F. Cirillo, Quando la prospettiva è rovesciata, 6 giugno 2024, in https://www.nicolaporro.it/quando-la-prospettiva-e-rovesciata/. Una notizia dell’ultima ora: entro il mese di marzo 2025 la ciclabile sarà estesa fino a San Pietro ed il Viadotto delle Fornaci diventerà un parco urbano pensile]
Leggi anche
La bellezza di correre in vacanza andando alla scoperta di luoghi e persone