Il 17 giugno scorso è tornato in ufficio un collega che è stato assente per malattia per 53 settimane.
A causa di una caduta accidentale, durante un meeting aziendale, aveva riportato un gravissimo trauma cranico che aveva compromesso il suo stato fisico e mentale. Da quel giorno di metà giugno di un anno fa, iniziò un lungo calvario di operazioni e cure presso uno dei centri di eccellenza dedicati alla neuroriabilitazione ospedaliera di alta specialità.
In un istante, la sua vita lavorativa e personale si è spenta e riaccesa, al minimo, cambiando completamente il suo orizzonte e quello di una famiglia intera. La storia del nostro amico ci ha segnati tutti in azienda: una persona amorevole e affettuosa che ha affrontato un dolore inspiegabile, avvenuto casualmente e senza una ragione.
Dopo tanto tempo, vederlo di nuovo camminare per i corridoi dell’ufficio mi permette forse di dare un senso a una tragedia come la sua, ovviamente solo dal mio punto di vista.
Il senso di un blackout mentale lungo mesi e mesi, dove ogni cosa si è fermata, deve essere letto in relazione con la nostra quotidianità: impegnata, ingolfata di affanni e scadenze, dove tutto è troppo. Come una pentola a pressione, ciascuno di noi ha la sua valvola da cui far uscire preoccupazioni, drammi e ansie.
Chi legge STORIECORRENTI sa bene che lo sport è il mezzo con cui riusciamo a dare sfogo a tutto o quasi, sia praticandolo ogni giorno, sia raccontando storie di chi lo pratica, qualsiasi attività essa sia.
Con questo approccio siamo in grado di goderci ogni giorno in cui portiamo a casa un allenamento o una medaglia. Perché il nostro collega ce lo ha insegnato: tutto può cambiare per sempre davanti a uno scalino preso male.
Basta un attimo e ogni cosa svanisce, e da quell’istante gli affanni e le scadenze perdono qualsiasi valenza.
Come dice Baricco, “la felicità consiste nel lasciar andare le cose” e allora promettiamo di provarci, di fare ogni giorno un esercizio per mollare la presa lì dove nulla cambia la nostra tenuta stretta, di lasciar andare cose per cui non siamo indispensabili.
Perché è proprio nei momenti di difficoltà che possiamo imparare a riscoprire la bellezza delle piccole cose, apprezzando la serenità che deriva dall’accettare ciò che non possiamo cambiare e concentrandoci su ciò che conta davvero.
Accogliere con serenità le incombenze quotidiane e i piccoli grandi drammi significa, in fondo, coltivare la capacità di adattarsi. È un esercizio di presenza mentale e di gratitudine, che ci aiuta a navigare attraverso le tempeste della vita con un cuore leggero e una mente aperta. Solo così possiamo veramente dire di vivere, non solo di sopravvivere.