Sono tante le ragioni per correre e potrei, qui, farvene un lungo elenco. Ma voi sapete già quali siano le ragioni. Nessuna di queste è veramente quella risolutiva.
Secondo me, con la giusta maturità, la corsa permette lo sviluppo dell’individuo. Lo so, è una frase impegnativa e mi appresto a darne brevemente conto.
La corsa insegna che bisogna imparare tanto e perseverare su una strada che potrebbe anche essere tutta, o quasi, in salita. Lo scoprono presto quelli che, abituati al conforto della superficie piana, a ColleMar-athon non tirano il fiato se non dopo il km 29… (ventinove!)
Si cerca, dunque, di essere migliori, almeno dal punto di vista atletico, verificando com’è difficile darsi un obiettivo “sfidante” e poi cercare in tutti i modi di conseguirlo.
Perseverare, insistere, darci dentro, non mollare, magari solo per abbassare il personale di pochi secondi. Lo scrive uno che ha visto le c.d. “palline bianche” dopo uno sforzo inusitato per stare – pensate un po’? – sotto le 4 ore in maratona, questione, rispetto alla fascia di età, più importante che arrivare tra gli assoluti. A costo di stramazzare al suolo. Perché il podista può essere folle fino a questo punto.
Correre con il vento, sotto la pioggia, con la neve, oppure quando non si è in perfetta salute. Arrancare – magari – ma arrivare.
Tutto questo – ne sono convinto – aiuta anche nel resto della nostra vita, conferendoci quella “grinta” senza la quale gli eventi possono fiaccarci e, alla fine, anche avere la meglio. Ma non senza che abbiamo sparato l’ultima cartuccia e tirato pure gli anfibi.
Resto però convinto che dopo aver imparato, giocato con le aspirazioni personali, sia utile provare a dimenticare tutto.
Riconsiderare le velleità, correre per divertirsi. Lasciare perdere il personale, prendere atto dell’età che avanza, riservare, come si conviene, l’agonismo esasperato ai giovani.
Guardarsi intorno, guardarsi dentro. Trovare che, tutto sommato, stiamo meglio in compagnia, per una piacevole corsetta, piuttosto che a casa con una birretta. O, meglio, la birretta è molto più appagante dopo una corsetta.
C’è stato un “momento” in cui è avvenuta l’illuminazione. Ciò è successo quando, dopo un mese di ripetute ero sempre stanco, incazzato ed affaticato. E per cosa? Per migliorarmi alla successiva maratona, per strappare quel tempo di 3h,45 pienamente rispondente alle mie possibilità. Ma la storia ha poi preso una piega diversa, proprio a causa del carico di lavori e delle aspettative. Non era un problema di gambe ma di testa. Quella c’è o non c’é. Evidentemente non c’era.
Occorreva resettare.
Ho scoperto che, in fin dei conti, non me ne frega nulla di migliorare il personale. La corsa mi serve per stare in armonia e la maratona, in particolare, è funzionale ad affrontare una situazione stressante (indipendentemente dal minutaggio) che, in teoria, sarebbe fuori delle mie corde. Non sono “pensato” per la corsa di resistenza ed è proprio per questo che, con sprezzo della ragionevolezza, la disputo. Voglio avere l’ultima parola. Per stare entro le 4 ore, però, mi sovraccaricavo di una zavorra supplementare, finché … “E se ci metto 5 ore, che succede?”.
Ho scoperto che non solo non succede nulla ma che, per questo tempo da tapascione, non serve alcuna ripetuta. Effetti paradossali del nostro essere una contraddizione fatta podista.
La corsa serve a trovare un punto di equilibrio. E’ tutto qui. Almeno per me.
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