David Monacchi è un un esploratore che va alla ricerca dei suoni delle foreste vergini di tutto il mondo. Ha iniziato la sua carriera come musicista e compositore. La sua vita è cambiata quando ha iniziato a registrare i primi suoni nei boschi vicino casa nel vicentino.
In vent’anni è riuscito a raccogliere un vastissimo archivio dal nome Fragments of Extinction, un progetto che registra, con tecniche tridimensionali innovative, i luoghi in cui l’essere umano non ha ancora lasciato traccia, la Natura canta e respira come nella notte dei tempi.
Lo ha raccontato nell’ultima puntata del podcast di Mario Calabresi – Altre Storie – dal titolo “Dove la natura canta”.
Monacchi ha registrato il suono o il canto sarebbe il caso di dire, di una delle foreste pluviali più ricche del mondo, la Danum Valley, un’area protetta della Malaysia situata nella parte settentrionale dell’isola del Borneo che con i suoi 45 milioni di anni di evoluzione indisturbata, è una delle zone del pianeta dove l’attività dell’uomo non vi ha lascito tracce evidenti.
Mentre ascoltavo il canto della Danum Valley, Calabresi ha richiamato la nostra attenzione su una delle cicale più grandi che abitano la foresta, la Megapomponia imperatoria, grande come una mano e che suona come se fosse uno strumento ad arco.
Alla fine di quel minuto di accordi perfetto mi sono chiesto “da quando l’uomo corre?”
Praticamente da sempre e lo fa come mezzo di spostamento e risale alle origini stesse della specie umana. La capacità di correre ha radici profonde nella nostra evoluzione come cacciatori-raccoglitori, quando i nostri antenati utilizzavano la corsa per cacciare gli animali, evitare predatori, e spostarsi da un luogo all’altro in cerca di risorse.
Se ci pensate il suono della corsa di un uomo è lo stesso da sempre, cosa cambia sono i geosuoni comi li ha chiamati Monacchi, ovvero se piove, se c’è vento o su che terreno ci muoviamo, ma la respirazione, i passi, il battito del cuore quelli non cambiano da sempre.
Il suono di un gruppo di persone che corrono
La corsa nel frattempo ha continuato a evolversi e a diventare un elemento fondamentale di molte culture e società, trasformandosi in un’attività sportiva con numerose varianti e competizioni, oltre a rimanere una forma essenziale di esercizio per la salute e il benessere generale.
Avete mai provato a sentire il suono della fatica? Quel segnale che parte dal basso e arriva fino alla pancia e poi in testa e le cui vibrazioni ti scuotono lo spirito e ti gonfiano le vene…
Per percepire il vostro passo usate l’esperienza o la follia di chi inizia e capirete che musicisti straordinari diventate ogni volta che andate a correre.
Il suono della fatica è la playlist perfetta. La musica che nessun musicista potrebbe ripetere con uno strumento, tanto meno con la sua voce, proprio come quella cicala nella Danum Valley.
La fatica crea un’armonica naturale che solo il corpo può creare, e si espande per km senza lasciarvi mai soli. I passi si uniscono in un solo canto, leggeri e pesanti ma tutti scritti sullo stesso pentagramma. Una successione di suoni diversi. Ognuno con il proprio ritmo genera una frequenza diversa e sostiene l’onda perfetta.
Il suono della fatica prodotto dal corpo non è puro, ma è composto da una mescolanza di note in cui al suono fondamentale se ne aggiungono altre più acute e meno intense. Mentre correte amplificate il timbro mettendoci sopra il vostro respiro e i pensieri, ed ecco il concerto di cui siete autori e spettatori.
Il suono della fatica non ti lascerà mai nella vita. Per qualsiasi andatura potrai reggere è il solo compagno fedele che sarà sempre con te.
Non resta che rimanere in ascolto ogni volta e percepire tutto ciò che sale e ti scuote fino all’ultimo metro.
Perché il suono della fatica è una successione di segnali le cui frequenze sono multipli di una nota di base, fondamentale, definita solo dal tuo bisogno di capire quanto vali fino in fondo.