Se si entra in un’aula scolastica e si prova a toccare la cattedra, liscia com’è, col dorso della mano sentirete freddo.
In ogni stagione, anche quando l’aula diventa infuocata a fine anno, anche quando è piena di alunni. Un freddo estraneo simile a quello dei banchi ma in versione deluxe.
L’insegnante ha l’obbligo di scaldarla e di rendere quel freddo, con la sua presenza, con la sua voce, con le sue parole, con il suo esserci, un luogo portatore del caldo umano.
Il pensiero mi viene ogni volta che entro per la prima volta in una prima media.
Raccolgo con gli occhi gli infiniti dubbi dei loro occhi, cerco di identificarne le paure e di dissolverle, ricordandomi, senza ricordarlo a loro, che hanno passato cinque anni con un volto che, nella maggior parte dei casi, è diventato amico e familiare e che hanno la percezione esatta che quel volto fa ormai parte del passato, proprio perché in classe, sulla cattedra, adesso c’è qualcun altro.
Stesso passaggio, stesse ansie, stessi dubbi, questa volta con lo spettro della demotivazione e della dispersione scolastica, nel secondo ciclo: dalle medie alle superiori.
La confidenza tutta da ricreare, sia tra compagni che, soprattutto, con i docenti, gli automatismi, la sintonia della progettualità, il sentirsi parte di un tutto che va scemando. Cerchiamo, lo dico senza paternalismi, ma ponendomi su un piano di confronto e di conforto, quando entriamo in classe di dimenticarci del brutto del mestiere e di cogliere il bello.
Ricordiamoci il privilegio, che non sono i giorni di malattia, o la stabilità del posto fisso, o lo stato che mi assicura dei diritti o di tutto ciò che prevede il contratto, o i sindacati o.
L’unico vero privilegio è l’avere a che fare con dei cuori in crescita, sulla quale possiamo intervenire pesantemente, nel bene e nel male, orientando ,motivando, dando un senso a questa gioventù che sta facendo della provvisorietà il proprio, drammatico, manifesto.
Provvisorietà e freddezza nei rapporti sentimentali, nella visione del futuro personale e di quello universale, nel ruolo in famiglia, nella politica e nel lavoro. Qualcuno potrà pensare che di provvisorietà è composto anche il cammino di chi insegna, di percorsi e classi lasciate a metà da un giorno all’altro, di un sistema che spesso si nutre di paradossi e di errori.
Molto vero.
Ma è altrettanto vero che chi si siede in cattedra e non lascia passare nemmeno un grammo del proprio calore, del caldo umano che dovrebbe contraddistinguerlo, magari si sta sedendo perché ha pensato solo ed esclusivamente al posto fisso, a suon di CFU e abilitazioni e scorciatoie che non saranno altro che la propria croce, nel corso del tempo.
La propria e quella dei suoi alunni.
Perché ricordiamoci che i ragazzi ci mettono cinque secondi a capire perché noi siamo dall’altra parte della cattedra, con quale spirito, con quale vissuto e con quali prospettive. Portiamo in classe solo il nostro meglio, il nostro, lo ripeto, “caldo umano”.
Che almeno la scuola possa essere un’oasi felice e non illusoria, ma un sostegno nel loro progresso, nei timidi passi in avanti del percorso di individui pensanti. Non è semplice, non lo è per nessuno, è una volontà continuamente interrotta ma se non siamo noi a costruire quel “posto caldo”, a rendere la cattedra un luogo pulsante di sensazioni ed avventure, allora cediamo il passo a chi ne ha voglia, a chi l’ha capito, a chi riesce a capire un discorso così.
Se non siamo convinti noi, non riusciremo mai ad essere convincenti.
Non cito quasi mai nessuno ma mi piace chiudere con una frase del più grande linguista italiano, scomparso la scorsa estate mentre attraversava sulle strisce pedonali: “un insegnante non può non essere un ottimista”.
Ecco, se sentite di non esserlo, scegliete un’altra carriera, altrimenti la cattedra sarà glaciale e state occupando il posto di un altro. Da studente ho vissuto almeno cento cattedre ghiacciate per poi ritrovare, inaspettatamente, il caldo che nemmeno supponevo potesse esistere proprio all’Università con Luca Serianni.
Entrare in classe con lo spirito con cui entrava lui in Aula 1 a La Sapienza, un’aula che sembrava impossibile da riscaldare, per ampiezza e austerità e scarsezza di luce, è quel che cerco di fare ogni giorno.
Proviamoci meglio.