Fabrizio ha un sogno. Un sogno che sa di riscatto e profuma di futuro. La voglia di mettere in piedi un’attività tutta loro da crescere e curare con amore. Decide di aprire a Roma il Rosemary, un ristorante che ha il gusto della terra e il sapore della cucina sana di una volta.
Rosemary è una scommessa su cui ha lavorato incessantemente ogni giorno con una ricerca dei dettagli che rasenta il maniacale.
Mozzarella di bufala campana portata direttamente dal caseificio di Salerno la mattina per essere servita a pranzo, il pane comprato fresco a Genzano all’alba di ogni giorno prima di andare a lavoro , vini ed oli di qualità superiore.
A questi prodotti si affianca una filosofia ecologista e plastic free che li vede tra i primi ad eliminare i contenitori in plastica da asporto e un’attenzione al commercio equo e solidale che li induce a scegliere il caffè Galeotto, prodotto in torrefazione all’interno del carcere di Rebibbia e commercializzato con lo scopo di riabilitare e restituire dignità a chi ha scontato una pena carceraria.
Al ristorante Rosemary ogni dettaglio concorre al raggiungimento della perfezione. Gli arredi sono realizzati con materiali riciclati ed ogni parete è stata dipinta da lui personalmente così come è stata costruita ogni decorazione.
Tutto andava a gonfie vele e piovevano commenti entusiasti ed articoli di riviste di settore incoraggianti al punto di maturare la decisione di un ampliamento. L’occasione non tardò ad arrivare e decise di prendere in affitto il locale accanto per spostare la cucina e guadagnare più spazio per i tavoli ed i clienti. L’inaugurazione era fissata per l’8 marzo 2020. Si esatto. Proprio quell’8 marzo in cui ogni attività si è fermata per una pandemia mondiale che mieteva vittime in tutto il mondo.
I mesi passavano ed il mutuo continuava a correre, gli assegni ai fornitori venivano incassati, mentre il lavoro era fermo. Sono stati momenti molto duri per tutti i ristoratori italiani attaccati al filo della sopravvivenza. Lui ha resistito con ogni mezzo a disposizione. Ha riaperto dopo il Lockdown e, quando non è stato più possibile permettersi personale, ha sparecchiato tavoli e caricato lavapiatti, reclutando familiari e parenti per contenere al massimo i costi senza intaccare la qualità.
Siamo al 2022 e il turismo è in ripresa. Bar, alberghi, ristoranti e tutti i negozi si risvegliano come se fosse tornata la primavera e così accade anche a loro. Ripartono le colazioni ed i pranzi, gli impiegati cominciano a rientrare dallo smart working e le strutture ricettive riprendono ad accettare prenotazioni e si riempiono riaccendendo quel bacino di clientela che negli ultimi anni era diventato una fonte secca.
In questo contesto di ripresa, quando il lavoro sembrava ricominciare a girare entra nel locale una giovane donna. Sono le 13.00 di una calda giornata di fine giugno. In Italia la colazione è fino alle 11.00 dopodiché si procede a preparare la sala per il pranzo che comincia verso le 12.00 e a pranzo i posti migliori vengono assegnati alle prenotazioni.
La ragazza chiede che le venga servita la colazione ad un tavolo accanto alla vetrina, così il cameriere le spiega che il posto che richiede non è disponibile perché prenotato e la colazione non è possibile oltre le 11.00, massimo 11.30.
La ragazza esce dal locale e realizza due video che posterà su tik tok in cui sostiene di essere stata vittima di un comportamento razzista del cameriere che l’aveva relegata ad un tavolo dietro un muro a causa del colore della sua pelle. Nel video è presente la tenda con il nome del ristorante, ma è stesso lei a ripeterlo in un italiano incerto e con un sorriso di compiacimento. Accanto alla sua immagine è riportato un post di un follower che chiede che venga fatto il nome del luogo.
In appena 48 ore il profilo Google del ristorante Rsemary passa da un rating di 4,9 stelle ad una valutazione di 2,5. Letteralmente rasi al suolo da una mandria di haters in corsa verso un pascolo verde e rigoglioso.
I più misericordiosi si sono limitati ad una stella, molti sono i commenti carichi di menzogna che parlano di capelli nelle pietanze, scarafaggi nel caffè o addirittura sangue nel piatto.
Tantissimi fanno riferimento al razzismo con pensieri a dir poco allucinanti.
“Se non siete bianchi, biondi e con gli occhi azzurri non entrate”
“La vetrina è solo per gli europei”
“Vergognatevi razzisti”
Alcuni pudici fanno il giro largo scrivendo “Ad una mia amica è successo…”
Altri postano fotografie fuori contesto di cibi disgustosi dicendo che è il cibo che gli è stato servito.
La verità è scomparsa dai monitor, relegata in un angolo a fare da spettatrice in questa guerra di like in cui Fabrizio si è trovato senza volerlo.
Colpisce vedere il carico di odio con cui perfetti sconosciuti scrivono accuse completamente prive di fondamento. Persone che probabilmente non sono mai state in Italia o che sicuramente non hanno mai messo piede all’interno del ristorante.
La loro mente sembra vuota, i loro occhi sembrano bianchi, riescono a mentire con la coscienza di quello che fanno e la totale noncuranza rispetto alle vite che coinvolgono e stravolgono con le loro parole.
La stessa ragazza che ha dichiarato di essere stata messa a sedere dietro un muro con altre persone di colore, in un dipinto segregazionista da anni 50, dice inesattezze è stata in un altro posto perché in quella sala non ci sono muri che nascondono tavoli, è una sala quadrata con i tavoli tutti intorno in bella vista, forse aveva altre persone di colore sedute accanto, ma è assolutamente casuale. Probabilmente in una società globalizzata nessuno fa più caso al colore della pelle.
La verità è che nessuno si assume la responsabilità delle proprie azioni, basta trovare una foto, metterla come sfondo di un post carico di odio e migliaia di persone si muovono contro qualcuno o qualcosa, come piranha che divorano la preda senza lasciare nemmeno le ossa, lasciando alle loro spalle famiglie senza reddito, persone senza lavoro e sogni infranti, tutto perché una ragazza non ha avuto il tavolo che voleva e un pasto fuori orario.
Gli influencer sono i Mad man del futuro, i pubblicitari delle prossime generazioni, consigliano viaggi, ristoranti, make-up e ogni genere di prodotto sul mercato, ma non si sognano di distruggere la reputazione della gente con false fotografie che mostrano mosche nei piatti o con commenti completamente al di fuori dalla realtà. Questo è distruggere il lavoro delle persone oneste. Questo è un altro lavoro. Questa è la diffusione dell’odio.