(I Racconti di Alberto Romaldi)
Un retaggio antico, una frase fatta trita e ritrita, “l’apparenza inganna” è un mantra gettonatissimo quando uno non sa che dire, quando vuol porre fine ad una conversazione che comincia a farsi pesante.
Un po’ come “era mejo quanno se stava peggio” o “L’abito non fa il monaco”.
Il comune denominatore di queste tre citazioni è che quando leggi, quando guardi, quello che è scritto, mostrato o detto ha sempre bisogno di una scomposizione, di un frazionamento da parte dell’utente finale che, in fase di riassemblamento, rielabora dentro di sé in modo diffidente e ti dice “Seee Vabbè” o “Nooo Vabbè”.
Non è vero, ad esempio, che il contagocce conti effettivamente le gocce che cadono nel bicchiere se sono IO che le devo calcolare ogni volta.
E cosa dire dell’albero di Natale, tutti quei decori, quelle luci e palline luminose, sono distribuite equamente su tutta la superficie o, come fanno tutti, lesinano sugli addobbi fregandosene altamente della parte non visibile?
Tu, sì proprio tu, che smucini in fondo allo scaffale del frigorifero del supermercato alla ricerca del litro di latte con la scadenza più lunga.
Una volta trovato, qual è il vantaggio se non quello di provare un piacevole brivido libidinoso nell’agguantare, con prestanza fisica e vigore, la bottiglia tanto ambita?
Cosa ti cambia tra 4 o 6 giorni se il latte lo devi consumare domani?
Secondo me vuoi solo dimostrare a te stesso che sei un uomo volitivo e tutto di un pezzo, uno che si fa valere e che, una volta tanto, almeno quando compra il latte, ha il suo ruolo ben definito da capobranco.
La cosa si complica quando prima di te è passato qualcun altro che ha già ispezionato le bottiglie, lo noti subito, non sono più allineate per bene come birilli, trovi qualche parzialmente scremato vicino all’intero, financo vicino a quello a lunga conservazione.
E’ in questa situazione che sei assalito da ansia da prestazione, la paura di non farcela, la stessa angoscia che provavi da adolescente quando dovevi invitare a ballare una ragazza, prendevi tempo prima di avvicinarla e di invitarla, rimandavi al prossimo lento, poi ancora a quello dopo, in seguito, quando ti eri deciso, il DJ metteva gli “svelti”.
Fatto sta che il litro di latte se l’era già tracannato qualcun altro, per te non rimaneva neanche quello scaduto.
Ora che sono adulto ho imparato la lezione, mi allontano dal banco frigo, faccio un bel respiro, rilasso lo psoas, lascio che l’energia positiva si distribuisca in modo omogeneo in tutti gli organi del corpo, budella e frattaglie comprese, chiudo gli occhi e li riapro pian piano come a rievocare la stessa scena dall’inizio ma con una visione diversa, azzerando quanto accaduto finora.
A quel punto Kant, con la sua teoria de “La cosa in se”, mi viene in soccorso con la distinzione tra il pensare e il conoscere.
E anche se Hegel sosteneva che la contraddittorietà della cosa in sé è l’essenza stessa del pensare, non mi rimane che lasciar perdere il latte e pianificare la prossima colazione con thè e crostatine della Motebovi, quelle secche, talmente secche che sono corredate di bottiglietta di saliva per una più facile masticazione inclusa nella confezione.
Ed allora? Quali sono le verità assolute inconfutabili? Quelle che resistono in modo comprovato anche all’apparenza che, a suo modo, inganna sempre?
L’amore? Scrivere t’amo sulla sabbia? Abbassare la luce per fare pace con la pioggia che scende dietro le tende e un bicchiere di vino con un panino? E’ una felicità vera o apparente?
Non lo so.
A volte ripercorro indietro nel tempo la mia vita cercando momenti o frasi che mi hanno reso felice, sono arrivato alla conclusione che non è quando qualcuno mi ha detto ti amo, ma quando per la prima volta ho sentito alla radio:
“Scusa Ameri, sono Sandro Ciotti dall’Olimpico: la Roma è passata in vantaggio”.
Alberto Romaldi