Il ciclismo il passaporto per la mia libertà

Masomah Ali Zada ​​è una rifugiata afgana.

Nel suo paese ha avuto un passato non proprio semplice.

Lei ha una passione irrefrenabile: ama il ciclismo e con la sua forza e con la sua bici è riuscita ad arrivare lontano. Tra due giorni sarà sulla linea di partenza per realizzare il suo sogno a cinque cerchi…

Quello che spera, più della vittoria, è di essere un faro per le donne costrette a lasciare il proprio paese o ad abbandonare i propri sogni sportivi.

Ad Ali Zada hanno lanciato sassi
ed è stata aggredita fisicamente nella sua terra natia solo per aver osato indossare abiti sportivi e andare in bicicletta in pubblico.

Il 28 luglio Gareggerà ai Giochi del 2020 per gli Atleti Olimpici Rifugiati e sente il dovere di rappresentare gli 82 milioni di persone in tutto il mondo costrette a fuggire dalle proprie case all’interno dei propri paesi o come rifugiati.

Si considera anche una rappresentante delle donne che vivono in società repressive e delle sportive che indossano il velo.

Ma si assume il fardello volontariamente e con orgoglio.

“Rappresenterò l’umanità…Non è solo per me. È piuttosto per tutte le donne in Afghanistan e per tutte le donne in ogni paese come l’Afghanistan che non hanno il diritto di andare in bicicletta…Vorrei aprire le porte ad altri rifugiati che verranno dopo di me”.

Ali Zada ​​affronterà altre 25 atlete nella cronometro su strada femminile olimpica.

Partirà sul percorso di 22,1 chilometri e sarà la prima volta che gareggerà in una cronometro.

Sono 56 gli atleti rifugiati che hanno ricevuto una borsa di studio di solidarietà dal Comitato Olimpico Internazionale, di cui 29 sono stati scelti per gareggiare a Tokyo.

Jean-Jacques Henry, il suo allenatore, afferma che Masomah è la miglior ciclista donna mai uscita dall’Afghanistan ed è impressionato dai suoi rapidi progressi.

Dalla comunità di minoranza Hazara (la sua città di origine), Ali Zada ​​si è appassionata al ciclismo mentre era in esilio in Iran.

Dopo che la sua famiglia è tornata a Kabul si è unita alla squadra nazionale all’età di 16 anni.

Non aveva idea che andare in bicicletta in Afghanistan avrebbe portato ad attacchi fisici, lancio di pietre, coercizione familiare e abusi verbali.

“Sapevo che era difficile, ma non avrei mai immaginato che le persone ci avrebbero picchiato..Il primo anno quando ho iniziato a pedalare, qualcuno mi ha colpito. Ero in macchina. Quasi tutte le donne che hanno fatto ciclismo hanno avuto la mia stessa esperienza. La gente ci ha insultato”.

Mentre anche gli uomini in abbigliamento sportivo hanno affrontato problemi in Afghanistan, per le donne è stato decisamente più “pericoloso”.

I suoi compagni (uomini) di squadra hanno pedalato in un anello protettivo attorno a lei per nasconderla nel branco.

Poiché continuava a vincere gare la sua fama aumentava, e con essa la costante pressione per smettere, anche dai suoi stessi parenti.

“I miei zii hanno detto ai miei genitori: ‘deve smetterla’”

Alla fine, la pressione è diventata troppa e la sua famiglia se ne è andata nel 2017, chiedendo asilo in Francia.

È estremamente doloroso essere costretti a lasciare il proprio paese. Ma non c’era altra scelta. Penso che ogni rifugiato può capire”

Ali Zada ​​sta studiando da due anni per una laurea in ingegneria civile a Lille e si destreggia tra esami e allenamenti. Si allena 6 giorni a settimana.

Calma, religiosa e pacata, le sue esperienze le hanno dato un forte senso di credenza interiore.

Sono una persona che non ha mai trovato il suo posto e quindi cerca sempre di essere migliore. Ma grazie a questo ci provo sempre”.

Si è allenata su un percorso pianeggiante di 60 chilometri facendo su e giù per la valle del fiume Rodano, passando per castelli e cascate che scendono dalle montagne, con Henry (il suo allenatore) al suo fianco in un’auto che dava istruzioni.

Un gruppo di operai ha esultato “Vai! Vai! Vai!”.

Sentendosi incoraggiata è scoppiata in un sorriso, ben lontano dalle interazioni lungo la strada in Afghanistan.

Henry ha detto che, nonostante il breve tempo di preparazione, Ali Zada ​​ha fatto passi da gigante.

“Ha forza di volontà. È intelligente. Capisce immediatamente cosa fare”.

La cronometro, nella quale si cimenterà, è una gara individuale.

Ali Zada ​​non ha mai pedalato da sola in Afghanistan. Ma il ciclismo è diventato il suo passaporto per la libertà.

“Con la bici posso andare in montagna, in pianura, scoprire posti nuovi. Vedi che la vita continua. E io mi sento viva.

Posso andare dove voglio. Come gli uccelli, posso volare. Sono libera.”

Vola libera ragazza, anche noi tifiamo per te!