Sono reduce dalla serata per i concerti del Tempietto. Più precisamente al Chiostro del Campitelli.
Un posto speciale nel centro di Roma nel quale abbiamo suonato, all’aperto, delle canzoni dedicate alla figura della donna. Dedicate a quelle donne maltrattate, messe in difficoltà dalla società, dall’amore, dagli uomini, da promesse mai mantenute. Dalla vita in generale.
Il progetto, con Giulia, Andrea e Umberto, presentato al Comune di Roma, è chiamato ‘Siamo Così’.
Ho suonato con un set ibrido che mi ha obbligato ad essere molto più concentrato del solito.
Con un cajon suonato con un pedale al posto della cassa. Poca roba. Senza tom o timpani e con il rullante percosso al minimo dei decibel possibili. In linea con gli altri strumenti acustici e con la voce.
I piatti erano un charleston un ride e un efx. Ho scelto di volta in volta spazzole, bacchette, stick, spazzole di plastica, shaker, spazzole di paglia per provare quel brivido che mi da costruire un groove improvvisando un suono sul quale ho scommesso a pochi secondi dall’inizio del brano.
A volte è andata bene. Altre meno. Ma ho imparato.
Chi non suona o non ha mai suonato su un palco non può capire l’emozione che si prova nel produrre un repertorio che terrà aggrappati i sentimenti degli spettatori e i propri per circa due ore.
Mi sono commosso, sorpreso, adattato, e ho viaggiato nel tempo. In una canzone di Sergio Endrigo ho pensato ai miei genitori, a mia madre in particolare.
Ho virtualmente dedicato più di un brano alla mia famiglia e ho sentito il profumo di mio figlio in più di una occasione quando lo cercavo tra una canzone e l’altra, mentre lui dormiva in realtà a casa, nel suo letto.
Suonare fa viaggiare in primis il musicista. Quando qualcuno mi chiede cosa pensassi mentre agitavo gli arti apparentemente a caso su quel brano o quell’altro, generalmente rispondo che sognavo.
Oltre alla concentrazione, al suono, alla performance c’è quell’adrenalina che sale per un viaggio senza droghe, senza confini. Magari nella memoria, nei sentimenti.
E ora sento di essermelo guadagnato questo panino al formaggio e prosciutto. Questo bicchiere di Satrico al fresco del terrazzo di casa. Senza orari, osservando il silenzio di una domenica di Luglio che finisce.
Perchè abbiamo ripreso a viaggiare, a suonare, a pensare ad ogni singolo colpo, a cogliere ogni singolo sguardo di un pubblico attento. E questa sera ne ho avuta l’ennesima, rassicurante prova.
Con tanto di mascherine e gesticolii al posto degli abbracci, siamo tornati a comporre emozioni di tutti i tipi. Qualsiasi esse siano. Sono la vita che noi musicisti abbiamo scelto. Quella che desideriamo.
Quella che abbiamo bisogno di vivere per far fronte alla vita dura che ci aspetta di suo e che ci farà pensare speranzosi ‘non andrà tutto a ramengo finchè avrò la musica…’ e sorrideremo ancora.
Come sapevamo fare da bambini quando abbiamo cominciato a suonare.
E voi, se non lo avete mai fatto, avvicinatevi ad uno strumento musicale.
Fatelo ora.
Non importa quale e men che meno dove andrete a finire.
Quanto bravi sarete o se ve lo riconosceranno.
Mettetecela tutta.
O approcciatevi al canto se lo preferite.
Tornerete bambini.
Vi scoprirete sognatori unici.
In barba a quel mondo che ci vuole spettatori della nostra esistenza.