“Papà! Papà! Portami sulla funivia!! Ti prego!! Voglio salire in alto e vedere il lago!!”
Quanti bambini avranno detto questa frase salendo allegramente in quella cabina sospesa nel vuoto, che ai loro occhi puri sembra un miracolo.
Pura gioia. Avventura.
In quel mondo fatto di sogni che solo loro riescono a vivere appieno.
Quante volte siamo stati in vacanza e siamo andati in funivia, un po’ spaventati ed eccitati dal ricordo che ci suscitava l’emozione di quando eravamo bambini.
Gli occhi spalancati e il sorriso di chi, dopo mesi e mesi chiuso in casa, col volto coperto e la paura di un virus letale, si concede un giorno di straordinaria normalità.
Quella normalità che abbiamo dimenticato e che desideriamo ogni giorno che passa.
Per un giorno tutte quelle famiglie avevano un lumicino di normalità. Per un giorno hanno tentato di vivere quella normalità che stava sbiadendo al ritmo del Covid.
Un rumore, uno scossone, una folle corsa all’indietro.
Pochi secondi e poi il buio che copre il verde degli alberi, il colore dei fiori, la terra nuda, le pietre. Come una tv che si spegne con un suono sordo e antico. Un suono che da millenni scandisce la fine.
Ho la testa affollata di pensieri. Da quando la radio, mentre ero in macchina, ha dato la notizia.
La funivia è caduta. Solo due bambini sono ancora vivi. Due cordoni argentei che sono diventati un filo di seta a cui sono attaccate due vite che volevano solo sorridere.
Il cielo è coperto. Il pensiero cammina. Di nuovo le notizie alla radio mentre viaggio verso casa. È rimasto un solo bambino. Eithan.
A me non importa la religione o la provenienza di tutte quelle persone.
Non sento differenza se penso al colore della loro pelle o al loro orientamento sessuale o alla loro nazionalità. Onestamente non mi importa quale comunità si smuove. Sento la loro paura. Li sento urlare nella mia mente. Sono uomini, donne, bambini. Sono esseri umani come me e mi domando perché.
Perché sono dovuti morire dopo essere sopravvissuti al covid, al vaccino, al lockdown, a tutte le privazioni di questo folle anno e mezzo.
Perché nel primo momento di gioia possibile tutto ha dovuto spegnersi.
Si parla di manutenzione. Come appena pochi anni fa è successo per il ponte Morandi a Genova c’è indignazione, dolore, paura, sfiducia. Si apre la caccia alle streghe. Quelle streghe che portano il nome di Meschinità, Grettezza, Superficialità, Ignoranza.
Appena pochi giorni dopo si viene a sapere che il freno non è stato attivato. Volontariamente.
Su ANSA si riporta “quella cabina aveva problemi da un mese, un mese e mezzo”.
Il COVID 19 ci ha travolti come uno tsunami spazzando via posti di lavoro, soldi, l’economia dei piccoli numeri, ci ha portato via nonni, amici, parenti, ha travolto la nostra quotidianità e la nostra libertà, ma non è stato tutto questo il suo danno maggiore.
Ora che l’onda si ritira e trascina via con sé tutto quanto è morto e distrutto, si porta via anche la nostra integrità, la nostra umanità, duemila anni spesi per raggiungere una civiltà.
Per resistere alla clausura forzata, alla mancanza di soldi, allo specchio in cui eravamo costretti a guardare le nostre vite vuote e prive di sentimenti ci siamo ripetuti fino al vomito che ne saremmo usciti migliori.
Ne siamo usciti solo più affamati, come belve dopo che la foresta è stata spazzata via da un incendio. Privati di ogni sentimento umano. Ansiosi di recuperare quei trenta denari che la pandemia ci ha portato via.
Il mio cuore è amaro. Non conosco i nomi dei responsabili, non li cerco, non cerco colpe. La colpa giace nel cuore di chi ne ha responsabilità, di chi ha pensato “ma tanto cosa può succedere?”. Questo. Può succedere che 14 vite vengono spezzate in un battito di ciglia.
Eithan si sveglierà. Il suo mondo sarà cambiato per sempre. Niente mamma, niente papà, niente famiglia. Intorno a lui, a soli 5 anni, il vuoto.
Mi domando ossessivamente cosa ne sarà di lui. Ho perso mio padre a 15 anni e la vita mi sembrava insopportabile. Il mio era uno spare, ma come si fa a sopravvivere a uno strike a soli 5 anni?
Così.
Svegliati bambino mio! Un giorno saprai che tuo padre ti ha salvato avvolgendoti con il suo corpo, un giorno potrai ringraziarlo perché il suo sacrificio, la sua prontezza di riflessi, ma soprattutto il suo amore ti hanno permesso di vivere in questo mondo, magari per cambiarlo, magari per renderlo un posto migliore.
Coraggio bambino mio!
Coraggio!
Non gettare la spugna, non vanificare il suo sacrificio, ma soprattutto non arrenderti mai al dolore, trasforma questo barlume di luce a cui sei attaccato in un inizio.
Inizia a combattere la grettezza, la povertà di chi rincorre i soldi, la mancanza di quella tecnologia che salva la vita. Studia, conosci, impara, correggi, insegna e prova a rendere tu questo mondo un posto migliore. Solo così la tua vita avrà il senso che merita e il tuo passaggio in questo mondo potrà lasciare il segno.