Ecco, lo sapevo che non ci dovevo venire, da sola, all’Alpe.
Ché già sono andata in crisi a fare il tragitto in auto, perché saprei guidare da sola fino a Lecce, godendomi le soste in quei meravigliosi non-luoghi che sono le aree di servizio, a contemplare Arbre magique e catene per auto automontanti e mangiare Rotoli e Fagotti, ma a girare sulle strade di montagna il mio proverbiale (non) senso dell’orientamento va in crisi e gli viene da piangere.
Però ce l’ho fatta, ed eccomi qui, ho trovato pure il parcheggio a soli 9.50 €, ho mollato l’auto, indossato gli sci e via, a scivolare nelle tracce riservate a chi fa alternato (ché il pattinato è un upgrade impensabile per me).
Mi sono messa pure la sveglia alle 7, dopo che per tre volte mi sono sentita dire che “dovevo partire presto” per trovare posto al parcheggio. E ora che sono le 8.45, io come quelli veri, quelli che fanno fondo ogni due giorni e pesano 40 kg, per dire, sono già in azione.
Ma non ci dovevo venire, da sola.
- Primo, perché non ci sono mai venuta prima e comincia a salirmi l’ansia di mancare la via del ritorno e perdermi nei boschi.
- Secondo, perché la combinazione tempo uggioso + uscita in solitaria è letale per il mio umore.
- Terzo, perché… qua sembrano tutti delle Di Centa o dei De Zolt , tranne me che “uno-due-uno-due” eseguo il compitino cercando di tenermi in piedi e inorridendo ogni qualvolta mi si presenta davanti una piccola discesa: avessi convinto qualcuno ad accompagnarmi, mi sentirei un po’ confortata.
Magari qualcuno di meno dotato, per quanto sia impossibile trovare essere umano meno dotato di me per lo sport.
Dopo il tratto di collegamento che mi sembra già un’impresa, scelgo, tra le piste più facili, la più lunga, 9,5 km: si dica pure che sono lenta, goffa e inetta, ma che non che sono pigra.
Vado avanti cercando di mantenere bene in vista le indicazioni “pista azzurra”, nel terrore di imboccare per sbaglio una rossa.
Vedo sfrecciare quelli bravi, vestiti come si deve, e mi pento di non aver ancora comprato l’abbigliamento giusto ed essere qui a fare sci nordico vestita da sci alpino, con i pantaloni e la giacca a vento cicciotti invece di quelle tute aderenti che favoriscono l’aerodinamicità e l’eleganza del gesto atletico.
Perché se vado lenta e traballante è solo colpa dell’imbottitura e del berretto anonimo invece della fascia alta con lo sponsor, è palese. È colpa del mio aspetto da Rotolo e Fagotto messi insieme.
Sbuffando e maledicendo il momento in cui ho deciso di fare sport, proseguo sempre dritta chiedendomi come è possibile che la pista si ricongiunga ad anello, come mi ha assicurato il gestore, se non svolta mai.
E sono già a 6 km!
E vado avanti, col mio passo alternato, e il rumore delle code mi fa pensare ogni volta che ci sia qualcuno che mi segue, ma niente, nonostante il parcheggio pieno sono sola su questa pista, vedo solo delle figure in lontananza, e nessuno che venga a prendermi con una carrozza dicendomi
“Signora, ma che ci fa qui, venga, venga ché non è cosa per lei, non è adatta! La porto nella spa di un hotel 5 stelle dove sarà massaggiata scaldata e coccolata come merita, invece che continuare a far fatica coi glutei in fiamme e la goccia al naso”.
E invece mi tocca continuare, perché ritornare al punto di partenza è l’unico modo per risalire in macchina e riavvicinarmi alla santa triade casa-calorifero-divano.
Finalmente la pista comincia a curvare, e parte una lunga discesa alternata da qualche piccola salita, giusto per non farmi andare nel panico per la troppa velocità.
Mi gaso a manetta, e penso “ma sì, quasi quasi quando arrivo al traguardo faccio di nuovo un giro corto, che so, da 1,5 km”.
Quando arrivo al traguardo ho le gambe di legno e la maglietta zuppa di sudore per la tensione, dalla paura di cadere.
Voglio solo fare quel benedetto tratto di collegamento e rimettermi al volante.
Peccato che il tratto di collegamento sia di altri 3,5 km, e che finisca in un punto diverso da dove era iniziato.
Ma come? E chi l’ha mai visto questo sottopassaggio, chi l’ha mai visto questo miniparcheggio?
Dovrei forse tornare indietro e trovare il bivio dove ho sbagliato direzione, ma i miei glutei si rifiutano, e con sci e bastoncini in spalla mi avvio a piedi sulla provinciale, fino a che non vedo un parcheggio grande, e mentre mi sale il panico perché non riesco a capire se è il MIO parcheggio o se dovrò girare a vuoto per ore prima di trovare la mia auto … ringraziando il Dio degli autosaloni che mi ha fatto scegliere una macchina rossa, tra mille SUV bianchi vedo la mia vecchia, acciaccata ma bellissima C3.
Ah, che meraviglia togliersi le scarpe da sci, rimettersi gli scarponcini e piazzarsi al volante, che goduria guidare al calduccio guardando, da dentro, il paesaggio innevato.
Addio monti, addio piste…
dov’è il primo Autogrill?
Martina Chiarani