Jana è una mia amica runner. Vive a Milano, non so da quanto ma credo da quasi sempre.
Vive in quella Milano che tutti consideravano la più importante città del paese, la Milano da bere, città della moda e della movida, città dell’aperitivo e dell’industria, la città che tira il carretto e si porta dietro tutto il paese. La città che oggi sembra una capitale della Cambogia.
Ci siamo viste l’ultima volta per la mezza di Napoli e lo spettro del corona virus era ancora un fantasma lontano che fa paura ma non ci appartiene. E’ stata l’ultima gara disputata prima che scoppiasse il bubbone.
Eravamo insieme in griglia, io lei e Fulvio, abbiamo corso fianco a fianco, abbiamo diviso la casa e la colazione. Dopo la gara ci siamo salutate e ci siamo date appuntamento alla prossima avventura come ogni volta che ci vediamo.
Erano i giorni di Codogno. Quelli della paura dell’apocalisse e del saccheggio dei supermercati.
Doveva prendere un treno per Milano per tornare a casa e la situazione precipitava di minuto in minuto, la zona rossa era appena una macchiolina rosso sangue sulla cartina del paese e lei comunque non sapeva se il treno l’avrebbe riportata a casa, in ogni modo quella sera arrivò.
Scese al supermercato sotto casa e riuscì a rimediare due yogurt e un sacchetto di insalata. Non avevano lasciato nulla. Il popolo dei previdenti aveva preso tutto quanto era possibile prendere lasciando indietro solo le briciole. Lasciando solo quanto non poteva restare a lungo in dispensa.
Le notizie erano frammentate e confuse e le persone lo erano ancora di più.
Più tardi, quella stessa sera, si mise a cazzeggiare su Facebook quando eccola la, la notizia del momento “Ricoverati due runners che avevano partecipato alla Napoli City Half Marathon per sospetto coronavirus”.
Eravamo impauriti e preoccupati, abbiamo passato la giornata a passarci messaggi e informazioni sull’andamento della situazione. Nessuno dei tre è andato a lavoro quel giorno.
Io sono libera professionista, lavoro per conto mio e mi sono chiusa in casa, ma loro due, dipendenti, hanno preso un giorno di ferie, contattato l’azienda, fatto presente che loro avevano partecipato all’evento sportivo e che attendevano conferma o auspicabilmente smentita della notizia dalla società organizzatrice e dagli organi competenti e contestualmente chiedevano istruzioni sul comportamento da mantenere.
Nel pomeriggio arrivò la smentita, i due runners non erano stati contagiati e nei giorni successivi abbiamo scherzato sulla faccenda, l’abbiamo tenuta su di morale, l’abbiamo confortata quando ci mandava delle foto della sua città deserta e desolata.
Non sembrava nemmeno la stessa Milano.
Guardando le sue foto sembrava di essere piombati nel film “Io sono leggenda” con Will Smith e il suo cane unici superstiti di una pandemia che aveva trasformato tutti in zombie. Occhi bianchi sul pianeta terra.
Passano i giorni, partono i progetti di smart working, le scuole chiudono, la situazione precipita, le informazioni contrastano e le persone sono confuse, angosciate e sopra ogni cosa terrorizzate dal virus che si espande a macchia d’olio, in maniera esponenziale. E’ tutto maledettamente rapido e sembra inarrestabile, un fiume in piena che rompe gli argini e si porta via tutto quello che trova.
Quella piccola macchia rosso sangue diventa rapidamente un lago.
Qualche giorno fa la notizia. La Lombardia intera viene considerata zona rossa. Il decreto dice che non sarà possibile muoversi da e per la Lombardia intera. La gente impazzisce, chi lavora fuori vuole tornare dalla famiglia, chi ha la moglie e i figli a casa in un’altra regione vuole tornare dai suoi cari chi ha paura prende il primo posto su un treno prima di rimanere bloccato in una città estranea e deserta e “fugge”. E’ il caos. Tutto si muove rapidamente, tutto impazzisce.
Lei no. E’ lì, stoica, in casa sua, con il suo Romeo, un gattone bianco e rosso, a farle compagnia. Senza esitazione, forte del suo coraggio e della sua energia positiva, resta nella sua Milano senza battere ciglio, pronta ad affrontare la situazione. E’ casa sua e la sua coscienza le impedisce di andare a spasso a rischiare per se e per i suoi cari. Ha passato i giorni a comportarsi come le veniva chiesto non tanto da leggi e normative, ma dal suo senso civico e dalla sua coscienza.
L’8 marzo si festeggiano le donne e noi, a distanza di qualche centinaia di km, tutte e due siamo uscite, mantenendo la distanza di sicurezza dagli altri, lontane ma insieme a correre.
E’ domenica e Roma era deserta. In giro solo tanti runners, soli, nel rispetto delle ordinanze, alla ricerca di un po’ di normalità. Ognuno di loro cercava di liberarsi di quella cappa scura dalle spalle, di lavarla via col sudore, di scalciarla lontano con la forza delle proprie gambe. Soli in un mare di gente. Lontani ma con i cuori uniti a 170 battiti al minuto.
La zona rossa si è estesa a tutto il paese. Ora siamo tutti nella stessa barca. Siamo carichi di dubbi, di paure e di incertezze e questo cappotto nero e pesante sulle spalle lo trasciniamo sempre più a fatica. Forse sarà possibile correre da soli, in città. Forse incrociandoci da marciapiedi diversi, a distanza di sicurezza, ci faremo un cenno di saluto. Siamo soli, ma tutti nella stessa barca, a un metro di distanza l’uno dall’altro, legati da una rete fatta di pixel e corrente elettrica.
Vi invito a fare come la mia amica, a non cedere alla morsa della paura. Siate coraggiosi. Non lasciatevi trascinare dalla confusione dilagante. Restate in casa o in ogni caso evitate i luoghi affollati.
Non è difficile, usate la tecnologia per mantenervi in contatto e non solo per farvi del male con inutili cattiverie gratuite. Mai come in questo momento, dal dopoguerra ad oggi, le persone hanno avuto bisogno delle persone.
Ricordo ancora la nonna quando mi raccontava della guerra, dei bombardamenti, dei rifugi e della paura e mi diceva “però ci volevamo bene e ci aiutavamo a sopravvivere”.
Aiutiamoci a sopravvivere durante questa lunga notte, quando passerà, resterà solo un brutto ricordo e magari saremo persone migliori.
Ludmilla Sanfelice