23 pippe ar sugo

Traggo l’espressione di “Pippe ar sugo” da un recente monologo di Sabina Guzzanti. Per chi non è di queste parti significa “Persona scarsa o inetta in una determinata attività”.

Chiaramente la versione esplicitata è più rispettosa mentre il nostro utilizzo non è educato né gentile ma, quando ci vuole, non si può tacere. Non possiamo renderci complici di questo andazzo ed è necessario, come si può, manifestare una netta contrarietà. Anche se, nel nostro paese, questa virile fermezza, non sortisce alcun effetto degno di nota.

Le 23 pippe ar sugo su cui si intende spendere due righe sono i componenti della nostra Nazionale di calcio, ai quali, in qualità di pippissima, va aggiunto il Commissario tecnico. La “Nazionale”, i nostri “Azzurri”, andrebbero – giustamente – venerati, in quanto come i combattenti al fronte rappresentano il genio italico, la nostra baldanza (per interposta persona) e – diciamolo – il motivo per il quale, il gioco al pallone, costa alle tasse di tutti una cifra considerevole. Giustamente, se non da tifosi, almeno da contribuenti, ci aspettiamo di ricevere “qualcosa” in cambio.

L’attività sportiva non necessariamente può ragionarsi in termini di contropartita. A Tamberi possiamo anche pagare un barbiere con i fiocchi ma se, quel giorno, non ce la fa a superare l’asticella mica lo si può fustigare! Ma l’impegno lo deve dimostrare, dare prova che, dopo tanti allenamenti, si butta anima e cuore (e tendini, ed altro), contro l’ostacolo. E’ una guerra e la deve combattere anche se alla fine dovesse morire, non può tirarsi indietro. Per la nostra Patria, senza esagerare in paragoni non pienamente coerenti, fior di ventenni, durante le guerre, affamati, male attrezzati e senza capire bene il perché, hanno combattuto in trincea, marciato verso la Russia, etc.

Invece alle nostre Pippe ar sugo non va di giocare e, con una nazionale mai vista in giro (pensavo che in Svizzera ci fossero solo banche, orologi e cioccolato), esprimono una “potenza” atletica che ho visto superata perfino nelle partite di calciotto al vicino circolo anziani. In un commento ho letto: “Però abbiamo vinto gli Europei di tatuaggi”. In effetti i nostri “atleti”, invece di allenarsi, hanno passato il tempo sul tavolo del tatuatore, dato che dei 2 metri quadrati di epidermide disponibile ad un uomo medio hanno lasciato fuori solo il volto e le palme dei piedi.

In effetti, la “professione” calciatore non più alcunché di sportivo, essendo semplicemente l’anticamera per fare l’influencer, sponsorizzare profumi e, soprattutto, rimorchiare in discoteca. Di correre non se ne parla, di costruire “azioni” men che meno. Lasciamo perdere di tirare in porta, perché il colpo di fortuna può sempre capitare (cioè un autogol della squadra avversaria).

Probabilmente, per i nostri Azzurri, è sbagliata la formula dei campionati del mondo e degli europei. Si annoiano, con gli ottavi, i quarti, etc. La soluzione potrebbe essere che l’Italia – in virtù del fatto che siamo italiani – deve accedere di diritto in semifinale, in modo da concentrare la “formalità” al massimo in un paio di partite.

La figura peggiore – sebbene apparisse impossibile in teoria – l’ha fatta proprio il Commissario tecnico Spallucce. In Mezz’ora di conferenza stampa, lui sì che ha giocato! Ha farfugliato in una strana neolingua, l’ha, insomma, buttata in caciara, anzi sugli spalti, per una melina nella quale ha premesso che forse ha stancato troppo i suoi influencer (con sessioni fotografiche e video su TikTok) e che farà di meglio in futuro. Ecco un esempio “plastico” di leader, per il quale una carriera politica è pressoché scontata, date le doti di “galleggiamento” anche in acque agitate.

Sulle beneamate pagine di “StorieCorrenti” parliamo di sudore, dedizione, fatica, follia, di poveri sventurati (noi) che rappresentiamo, al meglio, la “tigna” nazionale. Appena si parla di calcio invece ci interroghiamo su “Quanti chilometri corre in media un calciatore”? Ora sappiamo la risposta: pochi.

Quanti chilometri corre in media un calciatore

 

Mr Farronato
Mr. Farronato Podista e scrittore. La corsa mi serve per superare i limiti dell’ordinario mentre, scrivendo, supero quelli dello straordinario. Potete trovarmi – sotto falso nome – nelle gare della nostra bella capitale e, soprattutto, alle maratone. La corsa è la soglia del crepuscolo che si affaccia su un mondo diverso.