Finta pelle il nuovo romanzo di Saverio Fattori

Finta pelle è una storia di dipendenze, è una storia che andava raccontata, e per raccontarla il mio cervello aveva bisogno di trentacinque anni di decantazione, credo che ci sia una grande rimozione collettiva del fenomeno eroina di quel tempo, buona parte del libro annaspa a metà anni Ottanta, anni di passaggio veloce, vertiginoso.

Cosa c’è di più urgente in letteratura che raccontare di una faccenda così potente e devastante?

L’eroina è la regina di ogni dipendenza, un buco nero che inghiottiva tutto, la trasgressione più disperata e assoluta, il rifiuto totale della crescita, dell’avanzare verso l’età adulta, uscivi dal meccanismo di sempre: nasci, produci, consuma, crepa.

Nascevi, producevi nulla, consumavi solo droghe, e crepavi in fretta, giovane, inespresso, come se non ci fosse più nulla di più nobile che uscire in fretta da ogni schema sociale, morire giovane, come quegli idoli rock che si bruciavano verso i ventisette anni.

Al tempo l’eroinomane non era visto come una sorta di barbone, in realtà esisteva una certa mitologia di questa identità, per quanto possa essere assurdo, ma cosa c’è di più nobile che non desiderare nulla, cosa c’è di più volgare che affannarsi per avere riconoscimenti sociali?

L’eroina svuotava di ogni desiderio ti chiudeva in una bolla autarchica e ciao allo studio, al lavoro…  quel fallire aveva qualcosa di leggendario.

Giocavi con la morte, non eri un suicida, assolutamente, l’eroinomane non è un suicida, quando sei giovane il problema “morte” non si pone per nulla, non esiste, la siringa era una prova di coraggio, quasi una prova di virilità, un oggetto che metteva soggezione, un simbolo della leggerezza infantile perduta per sempre, ma allo stesso tempo un rifiuto dell’età matura.

Quando una cosa pericolosa come l’eroina incontra un adolescente insicuro, l’adolescente insicuro perde, o meglio, si perde. L’eroina è la causa del fallire, ma può essere l’alibi del fallire, ingoia tutto. L’adolescenza è assolutamente buona per fare letteratura, è l’età incerta, siamo fisicamente fortissimi e psicologicamente fragilissimi. Non siamo più bambini, non siamo affatto adulti.

Credo che tutto questo possa fare “letteratura” proprio perché si può essere estremi, a patto però di dare fiato al lettore, e credo di aver trovato il modo di alleggerire inaspettatamente il testo, ho cercato di spiazzare, le venature della voce narrante sono a tratti malinconiche, tenere, ma improvvisamente il punto di vista si sposta e arriva una ventata quasi comica, gli aneddoti sono le peripezie di una armata Brancaleone quasi inconsapevole di quanto stessero buttando al cesso una vita.

Lessi Il secondo tragico Fantozzi a dodici anni, e a dodici anni lo capii, capì quell’ondeggiare pericoloso tra tragico e comico, c’è sempre qualcosa di vagamente fantozziano in tutto quello che scrivo.

È per forza di cose un romanzo generazionale, la musica è molto presente, al tempo era una scelta di campo politico filosofica la musica che sceglievi di ascoltare, il rock, ovvio, ma nella mia zona tra Bologne e Ferrara c’erano discoteche funky mitiche come il Chicago di Baricella in provincia di Bologna, con dj mitici e osannati come cantanti rock, ma non è assolutamente diaristica, memoir, a me interessa la realtà, ma non mi interessa affatto l’aderenza alla verità. Mai.

Uso la realtà, il fatto di essere stato testimone, peggior attore non protagonista di favole nere, ma gli snodi di trama (una sorta di colpo di scena in particolare…) sono inventati, senza particolari strategie, ma magicamente la storia che scrivi prende una sua forma indipendente dal mio libero arbitrio. A libro chiuso mi sono chiesto che fine hanno fatto i 15000 tossici censiti nella sola città di Verona a fronte di 300000 abitanti totali? erano davvero la peggiore gioventù? O erano solo i più sensibili, fragili, e li abbiamo persi?

Oggi le dipendenze forse hanno cambiato forma, le “cattive abitudini” sono altre, diverse, il libro continua, attraversa gli anni Novanta, altre assurdità, ad esempio la moda del culturismo, un grottesco rigonfiamento muscolare senza senso, poi arriva ai giorni nostri: ho immaginato che sul presente gli incontri al buio attraverso i mezzi delle nuove tecnologie potessero dare un brivido molto simile a quello delle droghe, all’attesa del pusher, piccole trasgressioni biodegradabili.

Le dipendenze servono a distrarci da noi stessi, quando non ci piacciamo affatto.

I protagonisti del romanzo, Ale67 e Delphi70 hanno appunto un incontro di questo tipo, e tra loro non parlano, la loro storia la raccontano al lettore, alternandosi.

Per Delphi è la prima volta, è una donna di famiglia, molto normale, un marito mediocre, ma una vita decente, due figli che potrebbero dare soddisfazioni, ma qualcosa si rompe: a volte sarebbe meglio pensare che la cosa più stupida che può fare tuo marito è giocare sulle montagne con i fucilini finti che sparano cartucce di vernice rossa, a volte sarebbe meglio non indovinare le password della casella mail di posta elettronica di tuo marito…

L’epigrafe che apre Finta pelle è tratta da un film, Beautiful Boy (2018):

“Tornare indietro ora è un viaggio troppo lungo.”

È questo il senso del libro.

Saverio Fattori

Marco Raffaelli
Appassionato dello sport e di tutte le storie ad esso legate. Maratoneta ormai in pensione continua a correre nuotare pedalare parlare e scrivere spesso il tutto in ordine sparso