La percezione della distanza

Un mio collega ha iniziato a venire a lavoro a piedi e percorre 12 km tra andata e ritorno. Ad un’andatura di 11 minuti a km, quanto è la velocità che può mantenere un uomo che cammina di buon passo,  impiega circa 1 ora per arrivare in ufficio e altrettanto per tornare a casa.

Facile, lineare e anche poco faticoso, analisi quest’ultima per chi, come noi, macina decine di chilometri a settimana, correndo.

Durante la discussione in pausa pranzo, alcuni dei presenti non riuscivano a comprenderne il fine. Lui, il neo camminatore, giustificava la scelta a fronte di un reale bisogno di muoversi in alternativa alla staticità delle ore trascorse seduto davanti al computer.

Il problema della platea non era capire l’eventuale fatica o rinuncia alla comodità del mezzo gommato per lo spostamento casa ufficio, ma non avere la reale percezione di quei 12 chilometri totali da percorrere.

Quando ci spostiamo in macchina non ci curiamo della distanza, in particolare sui tragitti che facciamo quotidianamente. Li percorriamo e basta e il solo problema è il traffico.

La distanza nei centri urbani, non è quasi mai un fattore che compromette la scelta di un percorso o di un altro. Quando ascoltiamo le indicazione della voce del navigatore, ci rendiamo conto che …”tra 500 metri, svoltare a destra “ è un punto di riferimento utile per avere la giusta comprensione delle misure.

La testa è chiusa in un incastro tale per cui se non corri o non pedali su strada, fai fatica a capire quant’è 1 kilometro. Roma è una città così grande che ci puoi far correre, per 42 km, migliaia di persone senza farli ripassare quasi mai su uno stesso punto. Ma questo lo sappiamo noi inguaribili faticatori.

Ai miei colleghi poco importa, tanto non correranno mai una maratona e mai cammineranno per 42km

La comprensione della distanza è un principio che l’uomo ha rimosso. Un tempo, quando ci si spostava a piedi, era uno strumento necessario. Sfruttavamo punti fermi naturali a riferimento, ma ormai la metamorfosi comportamentale ha azzerato ogni possibile stima e considerazione di quanto l’uomo può fare, camminando.

Eppure basterebbe così poco, camminare vorrebbe dire riappropriarsi dei propri passi, di una mobilità diversa in città, permettendoci di vedere meglio i nostri spazi. Ci aiuterebbe a capire il valore del kilometro e della naturale capacità di collegare due punti senza perderci più, almeno mentalmente.

Camminare non porterà ad una rivoluzione, ma come diceva Italo Calvino: presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi.

Appassionato dello sport e di tutte le storie ad esso legate. Maratoneta ormai in pensione continua a correre nuotare pedalare parlare e scrivere spesso il tutto in ordine sparso